venerdì 26 gennaio 2018

L’infanzia in famiglie omogenitoriali: un’indagine antropologica

Seminario a cura di Alice Sophie Sarcinelli,
École des Hautes Études en Sciences Sociales, EHESS.
Institut de recherche interdisciplinaire sur les enjeux sociaux- Sciences Sociales, Politique, Santé (IRIS).

Alice Sophie Sarcinelli si forma a Parigi, conseguendo il Dottorato di Ricerca in Antropologia nel 2011. Allieva di Didier Fassin, nel suo percorso accademico indaga il tema dell’infanzia in diversi contesti attraverso uno sguardo particolare, che intreccia Antropologia dell’Infanzia, Antropologia Politica e Morale andando alla ricerca di una metodologia che riesca a fondere l’etnografia e la sfera più intima e personale degli interlocutori.

Il tema dell’infanzia, o meglio dei diversi universi morali che soggiaciono alle differenti interpretazioni che si danno a questo particolare momento storico degli individui, interrogano le società su cosa sia giusto/bene/buono per i bambini, andando a mettere in campo una serie di azioni politiche e giuridiche che interessano questa particolare categoria.
Uno dei temi che l’antropologa affronta è il capovolgimento di una metodologia che, all’interno del campo di studi sull’infanzia, ha tradizionalmente inteso i bambini come oggetti, piuttosto che come attori attivi all’interno del contesto giuridico e sociale in cui si muovono.
I presupposti di partenza mirano, dal punto di vista metodologico e teorico ad integrare il punto di vista del bambino1 intendendolo un attore tra gli altri, non avulso dal contesto parentale: ai bambini vengono certamente riconosciute caratteristiche specifiche ma pur sempre in relazione dialettica con le altre figure che abitano il suo spazio.

Intendendo le configurazioni famigliari omogenitoriali come prodotto storico e pertanto (come le relazioni di parentela in generale) soggette a differenti interpretazioni a seconda dei luoghi e del tempo, Sarcinelli indaga le composizioni della coppia, le strategie riproduttive, la creazione di legami di parentela, la vita quotidiana, l’equilibrio di genere, i rapporti di potere all’interno dei contesti italiano e belga, intraprendendo così un progetto di ricerca di analisi comparata in due “universi” legali antitetici. Da una parte la legislazione italiana, considerata estremamente restrittiva nei confronti delle unioni civili e dei rapporti di riproduzione ad esso collegata, dall’altra il contesto belga, considerato uno dei modelli europei più progressista in questo senso.

Il fil rouge che accompagna la ricercatrice risiede nell’analisi dei processi di riconoscimento giuridico e sociale di queste famiglie (e delle relazioni di parentela ad esso correlate) da parte dello Stato e sull’impatto che questi fenomeni hanno sulla vita dei membri delle famiglie stesse. La ricerca mira infatti a trovare un punto di incontro tra livelli che sembrano non incontrarsi, quello personale, privato, intimo, che ruota attorno alle esperienze quotidiane dei bambini in contesti famigliari omogenitoriali e mondo politico e giuridico.

Infanzia, famiglia, genitorialità, genere, riproduzione e parentela sono macro temi che investono di significato l’esperienza omogenitoriale, che spesso viene relegata ai margini del discorso pubblico, percepita come realtà distorta e “disordinata”. Anzi, ancor di più in questi casi, dove l’apparato amministrativo tende a non riconoscere i diritti alle coppie di genitori omosessuali, vi è una presa di coscienza dell’importanza della validazione legale del rapporto di genitorialità, ancor prima che sociale.

La ricerca etnografica, fino ad ora svolta in Italia, ha messo in luce come nonostante la legislazione molto restrittiva in materia di diritti civili e riproduttivi, le coppie omogenitoriali siano in continuo aumento e siano sempre più presenti nel panorama della società civile nazionale grazie alla costituzione e diffusione sul territorio di Associazioni che aiutano le famiglie nell’affrontare le diverse sfide legali e sociali che vi si presentano. A dispetto della severità del diritto nazionale in materia, per avere un bambino le coppie mettono in campo strategie alternative in grado di travalicare le imposizioni legali: auto-inseminazione, co-genitorialità tra coppie omosessuali di genere diverso oppure soggiorni all’estero dove il diritto consente di accedere alla riproduzione medicalmente assistita.

La mancanza di una definizione chiara ed omogenea di cosa sia “famiglia” all’interno del diritto italiano, rende infatti possibile per le coppie omosessuali muoversi negli interstizi legislativi aperti nel sistema. Il termine “famiglia” infatti assume un carattere eterogeneo e contraddittorio e le sue molteplici definizioni, presenti a più livelli nel sistema giurisdizionale (a partire dalla Costituzione, fino ad arrivare ai gradi più elevati delle Corti di Cassazione presenti sul territorio), lasciano margini agli individui per mettere in campo il proprio capitale sociale ed economico per “andare oltre la norma” e portare a termine il progetto di genitorialità. La ricerca mette in luce una questione che sta alla base della discrasia tra essere genitore e non esserlo (al tempo stesso) ossia il riconoscimento da parte dello Stato del legame di parentela di entrambi gli individui alla base del progetto famigliare ed i loro figli.

Vengono quindi messe in campo, per dirla con De Certau, delle tattiche per diventare parente (kin) del bambino che è loro figlio2. Per essere riconosciuti come genitori, la coppia deve “soddisfare” caratteristiche soggettive e oggettive; queste ultime comprendono tutto quell’insieme di pratiche burocratiche che consentono l’accesso del minore ai servizi per l’infanzia.
Anche dal punto di vista simbolico, si attuano delle strategie per affermare la propria genitorialità (anche quando a livello giuridico non lo si è), ad esempio dando il secondo nome della madre o del padre “sociale” al proprio figlio, mentre la madre/padre biologico trasmette alla discendenza il proprio cognome. Oltre a questo esempio, secondo l’esperienza dell’Antropologa, è nel tentativo di dare corpo ad un riconoscimento giuridico più solido e strutturato che emergono le differenze più acute di capitale economico, sociale e culturale: si parla in questi casi di vere e proprie “battaglie” legali, spesso molto lunghe e dispendiose, sia dal punto di vista materiale che temporale, che hanno come obbiettivo quello del raggiungimento di un livello di riconoscimento di genitorialità che passa attraverso l’adozione o la forma del “tutorato a vita” del bambino.

Indagando l’ambiente intimo delle famiglie omogenitoriali, a discapito di un vissuto quotidiano “banale” per dirla con Sarcinelli, sovente viene a galla, da parte della madre sociale del bambino (quand’anche questa è riuscita in un difficile processo di riconoscimento oggettivo della propria genitorialità), la sensazione di “stare mentendo” quando viene ribadito il rapporto di filiazione con il bambino. A partire da questa situazione di fragilità emersa dall’etnografia, l’autrice riflette sui processi di de-kinning, ossia quell’insieme di cause circostanziali che portano alla perdita dei legami parentali, giuridici o sociali che essi siano.


Analizzando quelle che sono le cause soggettive di questo processo, è emerso come la costruzione di questa relazione di parentela dipenda dal fatto che il genitore che all’interno della coppia gode del riconoscimento giuridico e biogenetico è quello che permette che l’altro componente sia anch’esso genitore, in una relazione di potere a vantaggio del primo sul secondo. In questa fragilità strutturale, nel contesto italiano il genitore sociale può, a discrezione del genitore giuridico/biologico, perdere quel rapporto di parentela costruito nel tempo con il proprio bambino. L’esperienza etnografica di Sarcinelli ci ha dimostrato, attraverso la presentazione di numerosi casi etnografici, come il ruolo della biogenetica venga manipolato all’interno della coppia per instaurare delle relazioni di potere e di competizione che possono arrivare in alcuni casi alla spoliazione dei (non) diritti del partner sociale.

Dal punto di vista emico, sembra che il genitore biolocico/giuridico si senta “più” genitore rispetto al partner e che questo sentimento, in determinate circostanze di difficoltà, venga trasferito ai figli. Nonostante sia chiaro come i legami di parentela subiscano un processo di costruzione storico e culturale, la ricerca tende a sottolineare come nelle famiglie omogenitoriali si combinino diversi dispositivi atti a creare, ricreare, maneggiare o dissolvere i rapporti di parentela.
La mancanza di tutela dei diritti delle coppie omogenitoriali in Italia rappresenta quindi la condizione di possibilità che uno dei due genitori possa cessare di esserlo da un giorno all’altro.
Dal punto di vista dei bambini, l’esempio etnografico proposto dall’autrice ci mostra come essi siano parte integrante delle relazioni di potere messi in gioco dai genitori e come anch’essi vivano la categorizzazione biogenetica/sociale come un confronto impari, dove l’istanza biologica risulta preponderante nell’interpretazione della relazione di genitorialità (“più mamma dell’altra perché nella pancia la voce arriva diversamente”, “mamma naturale”, “quella che ti ha fatto”).

In conclusione, all’interno della traiettoria etnografica si intrecciano diverse questioni nella definizione di parentela nella famiglie omogenitoriali: non solo l’essere legato dal vincolo giuridico statale ma tutto il contesto è attraversato da caratteristiche soggettive e logiche di potere all’interno della famiglia stessa, arrivando a strumentalizzare il ruolo della biogenetica per una riaffermazione del diritto genitoriale sui propri figli. La combinazione di aspettative, sentimenti, norme, doveri morali si materializzano in queste famiglie come in qualsiasi altra tipologia di relazione parentale ma la specificità di questi casi di genitorialità omosessuale ci permette di riflettere su alcuni assunti fondamentali che questi esempi ci permettono di mettere a critica.
Sembra quindi, come asserito da alcuni autori e avvalorato dall’esperienza di campo, non essere né il matrimonio, né l’amore, né la legge che crea la famiglia bensì una combinazione di questi fattori, oltre che l’elemento temporale che contribuisce giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza a modellare le dinamiche interne famigliari.

1 Utilizzo il termine “bambino” non volendo con questo darvi una caratteristica di genere bensì in termini neutri.
2 Vedi nota n.1

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