mercoledì 31 ottobre 2018

Il lavoro dell'antropologo

Anche quest'anno, in qualità di tutor dei dottorandi DACS, mi incarico molto volentieri di inaugurare la nuova stagione del nostro blog... nei prossimi mesi questa "aula e vetrina" del dottorato, come l'abbiamo definita ormai tre anni fa, racconterà le nostre attività attraverso il contributo soprattutto delle dottorande e dei dottorandi del nuovo ciclo, il XXXIV. 

Proprio ieri abbiamo ufficialmente dato il benvenuto ad Alessandra Turchetti, Giulia Zaninelli, Edoardo Occa, Roberto Rizzo, Grabriele Masi e Francesco Diodati, i cui profili verranno presto aggiunti anche su DACSdiaries.

In attesa dell'imminente inizio della didattica del dottorato, voglio qui ricordare l'importante convegno che, in modo simbolico, ha inaugurato il nuovo anno di attività con questi giovani ricercatori e con tutti gli altri dottorandi degli anni precedenti, al momento impegnati nella loro ricerca di campo o nella scrittura della tesi. Dal 24 al 26 ottobre si sono infatti tenute tre belle giornate di riflessione sulle ricerche e sulla figura di Ugo Fabietti che, partendo dall'analisi di alcuni dei suoi più significativi temi d'interesse e aree di studio, hanno ben mostrato quanto per tutti noi "aspiranti antropologi" (per riprendere l'azzeccata formulazione di Francesco Remotti) possa essere fecondo il dialogo con la sua "antropologia di frontiera". 

Proprio questa concezione della nostra disciplina ritengo possa essere offerta al nuovo ciclo dottorale come augurio di buon lavoro per gli anni a venire... scriveva Ugo Fabietti: “Se dunque l’antropologia è una frontiera, è perché essa esprime il 'limite' della cultura che l’ha vista nascere, perché si è sviluppata in 'zone di contatto' e forse anche perché essa si pone come sapere mobile...”
E proprio questo aspira ad essere il Dottorato in Antropologia Culturale e Sociale: una zona di contatto che, consapevole dei suoi limiti, accompagna i giovani ricercatori in un tratto del proprio cammino fornendo strumenti per maneggiare un sapere mobile e attraversare frontiere.

E' impossibile ora riassumere i tanti, interessanti interventi che si sono succeduti nelle tre giornate del convegno "Ugo Fabietti. Il lavoro dell'antropologo". Vorrei quindi affidarmi a un passaggio tratto dal testo che Francesco Remotti scrisse in memoria dell'amico e collega nel giugno 2017:

Tra questi moltissimi ricordi, uno in questi giorni è ritornato con particolare insistenza: è il ricordo del nostro primo incontro (...). Di quell’incontro conservo nella memoria lo sguardo e il sorriso aperto, cordiale, giovanile e il suo presentarsi come giovane antropologo, fresco di esperienze formative e di ricerca in campo antropologico. Ugo era più giovane di me (aveva 7 anni di meno) e, da allora, ho sempre vissuto Ugo come “giovane”, di solito in effetti come “il più giovane” nei vari contesti in cui interagivamo. Ma non era solo una questione anagrafica: ai miei occhi Ugo ha sempre conservato la caratteristica della giovinezza, che significava preparazione, aggiornamento, entusiasmo, coraggio, novità, progettualità, intraprendenza.

Quale strada più appropriata si potrebbe mai indicare a chi oggi si affaccia al suo primo anno di dottorato, a chi sta per partire per il campo o discutere la propria tesi? Preparazione, aggiornamento, entusiasmo, coraggio, novità, progettualità, intraprendenza.