mercoledì 29 agosto 2018

AMA - Antropologia Museale e dell'Arte: scadenza bando 8 ottobre 2018!

E' online il bando per partecipare alla nuova edizione del Corso di Perfezionamento in Antropologia Museale e dell'Arte (AMA) diretto dal prof. Ivan Bargna.


Il corso di perfezionamento è stato progettato per rispondere all’interesse crescente per l’arte, i musei e i beni culturali materiali e immateriali che viene dall’interno dell’antropologia. Le questioni inerenti la preservazione, tutela e trasmissione dei beni demoetnoantropologici e del patrimonio culturale, verranno trattate, non solo con lo sguardo rivolto al passato, ma anche ponendo attenzione al presente e al futuro, evidenziando:
- la dimensione economica e politica dei processi di patrimonializzazione della cultura e di costruzione della memoria sociale
- i modi in cui innovazione, creatività e invenzione culturale generano quelle pratiche e artefatti che sono poi suscettibili di patrimonializzazione
- la trasformazione dei musei delle culture contemporanei da custodi delle vestigia degli Altri a centri dinamici di progettazione culturale nel contesto di società multietniche e postcoloniali, in cui il patrimonio culturale diviene oggetto di contesa, nell'ambito di "politiche del riconoscimento" e rivendicazioni identitarie.

Qui trovate il bando e la brochure del corso. Tutte le informazioni sono reperibili sul sito www.ama.formazione.unimib.it.

ATTENZIONE: le domande di partecipazione al corso devono essere inviate entro e non oltre l'8 ottobre 2018! Non mancate questa scadenza!


venerdì 3 agosto 2018

Amitav Gosh: i rifugiati climatici, la letteratura senza immaginazione, Savonarola e altre storie



Il 30 maggio i docenti e i dottorandi del  DACS  hanno avuto la possibilità di incontrare lo scrittore e antropologo Amitav Gosh[1] prima della conferenza The Great Uprooting: Migration and Movement in the Age of Climate Change tenutasi nel pomeriggio, per un seminario a partire dal suo ultimo saggio The Great Derengement tradotto in italiano come La grade cecità Il cambiamento climatico e l’impensabile, edito da Neri Pozza.
Nel testo l’autore indaga il cambiamento climatico a partire dalla sua assenza nella narrativa contemporanea, tranne rare eccezioni, sintomo probabilmente legato a una crisi della cultura che Gosh pertanto identifica come «fallimento dell’immaginazione» (op.cit p.16). Questa non sarebbe in grado di relazionarsi con il cambiamento climatico visto come una “unseen force” così come con molti altri esempi di presenze non umane.
A partire da La Grande Cecità, spaziando nel vissuto e nelle opere precedenti dell’autore e della tradizione antropologica alla quale appartiene, letterati e antropologi hanno interrogato il testo con l’ausilio dell’autore stesso.



Nel rapporto tra lo stile di scrittura e la tipologia testuale non c’è costrizione per Gosh:  “non decido che genere sto facendo […] Non vengono fuori da diverse parti della mia testa”. La sua motivazione  piuttosto che all’attivismo è  legata ad una volontà di introspezione, spiega l’autore, al desiderio di esaminare la sua prospettiva come scrittore e come pratica resistente rispetto al cambiamento climatico.
La prima parte del testo infatti, che titola Storie nella versione italiana, racchiude la problematica
di una relazione con l’ambiente presente, ma inespressa dal contesto culturale occidentale.
La riflessione durante il workshop si apre dunque a partire dalle suggestioni del libro rispetto ai limiti umani e al divino come agente con l’esempio, tra gli altri, della comunità egiziana del villaggio dell'Alto Delta, poi descritto ne Lo Schiavo del manoscritto[2], in cui Gosh ha fatto ricerca per la sua tesi di dottorato. L’intero operato della comunità, spiega Gosh, ruota attorno all’invidia, l’occhio del diavolo, che può investire chi possiede al di là dei limiti del merito e dove il senso della misura, dell’abbastanza per non attirarla, sono valori condivisi socialmente. Noi invece di consapevolezza dei limiti non ne abbiamo più.
Da questo approccio con la presenza non umana, protagonista in ogni libro di Gosh e ne La grande cecità, con il racconto in prima persona di quando da ragazzo durante un tornado guardò negli occhi la tigre: l’inspiegabile (op.cit.p37), scaturisce la difficoltà dello scrittore di trovare un linguaggio in cui rendere queste esperienze e l’interesse per presenze, esseri, agenti non umani.
Nella terza e ultima parte del testo, Politica nella traduzione italiana, Gosh analizza due esempi di narrazione che si cimentano con il cambiamento climatico cercando di riassumerne le forze ingovernabili che lo animano. Egli si concentra sulla retorica di Laudato si’ – l’enciclica di papa Bergoglio incentrata sul rispetto dell’ambiente, con il suo linguaggio di apertura e interazione con la povertà attraverso la valorizzazione delle esperienze degli umili, in contrasto con l’accordo di Parigi, in seguito alla conferenza sul clima del dicembre 2015, che cerca di incasellare la tematica in un mondo di expertise nonostante le rivolte “against exspertise all over the world”. Gosh afferma infatti nel testo che il cambiamento climatico «ha rovesciato l’ordine temporale della modernità (op.cit.p:72) mettendo in crisi il più importante concetto politico dell’era moderna, l’idea di libertà [ …] caratterizzata dal distacco della natura (ivi:149)».
Rispetto alle motivazioni sulla scelta di questi due testi, Gosh risponde che, pur non scrivendo né da religioso né da laico e pur scegliendo uno stile saggistico completamento diverso da quello contenuto nell’enciclica, sente le tematiche in essa contenute (il mistero dell’universo, la necessità di condivisione dei beni che la natura mette a disposizione) più definitive rispetto alle rilevazioni scientifiche di cui l’accordo di Parigi si arma scegliendo uno stile aulico e una chiusura verso il lettore non specializzato.
Nel corso della mattinata Gosh spiegherà come sia necessario riappropriarsi invece di questo spazio di interlocuzione con altri tipi di presenze e come la religione sia l’unica risorsa in grado di promuovere l’apertura di questo spazio e di muovere le masse rispetto alla sensibilizzazione sul cambiamento climatico.
Alla domanda sul perché elevi la religione come l’unica speranza per un’assunzione di responsabilità rispetto al cambiamento climatico, Gosh risponde “we don’t have time, we need to be practical, we need the most influence movement”. Dunque è la religione cattolica nella carismatica e impegnata figura di papa Francesco, il quale può raggiungere milioni di persone e sembra ampiamente recettivo verso le problematiche ambientali, a soppiantare l’impegno dei movimenti ambientalisti che sembrano invece aver fallito nel corso del tempo. Nonostante sia anch’egli un sostenitore dei grassroots movements, Gosh è sicuro che non salveranno il mondo avvertendo un’urgenza che a volte lo fa sentire come “Savoranola mentre inveisce contro il mondo, senza che nessuno gli creda”.


Innumerevoli altri aspetti del testo emergono dalla discussione e dalle domande, per esempio rispetto alle forme assunte dal potere concentrato attorno a chi controlla le fonti energetiche sia quelle legate ai combustibili fossili che quelle alternative rinnovabili. La storicità di queste scelte energetiche per il pianeta è trattata nella seconda parte nel testo presentato: Storie.
Per le fonti energetiche rinnovabili, diversamente che per carbone e petrolio, non conosciamo gli esiti della rivoluzione energetica che recano in seno, conosciamo invece l’impatto dei disastri ambientali sull’ordine sociale e su questo da antropologi possiamo concentrarci.
Altre suggestioni riguardano la responsabilità del modo di produzione capitalista nell’era dell’antropocene, che invece Gosh attribuisce maggiormente all’industrializzazione in sé dunque non solo nei paesi neoliberisti, ma anche – citando la Cina - nei paesi guidati da un assetto socialista o comunista che ruotano intorno a una produzione intensiva industriale.
E ancora intorno al rapporto tra letteratura e natura, macro categoria all’interno della quale Gosh prova a leggere il cambiamento climatico, le indicazioni di interpretazione che la discussione porta sono molteplici: lo sciamanesimo che caratterizzava il “nuovo mondo” senza letteratura ad esempio ci riporta alla convinzione che l’atto di leggere possa in qualche modo dispensare dal vedere le presenze intorno a noi. Inoltre gli studi dell’antropologo Rasmussen[3] sull’intersoggettività “between man and the glacial” tra gli Inuit, che conoscono qualcosa in più rispetto all’ambiente in cui vivono, che conoscono il ghiaccio e possono fare predizioni accurate su esso, ci legano agli studi antropologici precedenti sulla natura e le modalità con cui l’uomo si è relazionato con essa e con le sue forze nel tempo e in differenti aree e culture. Da qui riflessioni sul rituale “non come controllo ma per attivare” questa relazione con la natura e un’ invettiva contro la retorica della “ricerca di soluzioni” perché chi ha le risposte le userà contro le persone comuni, ci fanno concludere che non ci sono verità universali nemmeno per la scienza stessa, lì dove la letteratura sembra aver esaurito gli espedienti per raccontare la realtà naturale che ci circonda.
Concludiamo con disincanto che forse avremmo bisogno di una nuova forma, come Fenoglio ebbe bisogno della storiografia greca per spiegare la difesa di Alba. Una forma che renda la dimensione collettiva del cambiamento climatico e i fenomeni che esso si collegano, la migrazione su tutte, ma quale?



[1] https://www.amitavghosh.com/
[2] Lo schiavo del manoscritto (In an Antique Land, 1992) Einaudi, 1993 - Neri Pozza, 2009
[3] Rasmussen, Knud (1921). Greenland by the Polar Sea: The Story of the Thule Expedition from Melville Bay to Cape Morris Jesup. Transl. by Asta and Rowland Kenny. Published by W. Heinemann.