lunedì 4 febbraio 2019

In dialogo con gli archivi



Il tema della memoria è uno dei temi centrali delle radici della nostra cultura, almeno di quell'ampia parte derivante dall’antica Grecia e dall’antica Roma. Non solo gli albori delle scienze storiche si trovano già nell’antica Grecia, ma anche il ricordare come atto poltico-culturale di costruzione della memoria appartiene alla cultura romana (come ad esempio la damnatio memoriae).   

Il valore di ciò che vale la pena di ricordare e di ciò che è possibile ricordare, attraverso il mito o l’archivio è sempre stato, quasi universalmente, un atto politico di costruzione di identità, come aveva approfonditamente spiegato il “padre fondatore” della nostra facoltà Ugo Fabietti.

Mito e archivio. Mentre scrivo mi rendo conto quanto l’uno sia l’opposto dell’altro, almeno per come l’abbiamo inteso al seminario del prof. Della Misericordia. Scomodando Levi-Strauss possiamo dire che l’uno è il modo di ricordare del pensiero logico, l’altro del pensiero mitico, l’uno ha il carattere della fattualità, l’altro della fattività, l’uno è scritto, l’altro è orale. 

L’archivio, secondo la definizione del dizionario è oggi inteso come “la raccolta ordinata e sistematica di atti e documenti la cui conservazione sia ritenuta di interesse pubblico o privato”.
Già da questa piccola definizione vediamo emergere la questione politica: chi ha deciso di ricordare (sia nel senso transitivo di “tramandare” sia in quello intransitivo), cosa ha ritenuto degno di ricordare, dove ha deciso di farlo ricordare, in quale contesto, e per quale motivo e come. 

Seguendo questa strada, ci si accorgerà subito, come è stato notato più volte al seminario, che il sostantivo archivio è il punto di arrivo di un processo a cui si può dare l’aggettivo “archiviazione” (prendo qui spunto dal disgusto accademico di Appadurai verso i sostantivi in favore delle forme aggettivali).

Essendo testimonianza di un processo storico, l’archivio allora mi pare una processualizzazione di secondo grado da cui lo studioso, storico o antropologo, può trarre degli utilissimi spunti per indirizzare e definire la sua ricerca.
È innegabile che, a meno di non voler tornare ad una concezione ormai desueta della cultura, la necessità di conferire diacronicità all'osservazione antropologica trovi nell’archivio uno degli strumenti più importanti a disposizione dello studioso sociale.

L’archivio, però, deve essere inteso anche e soprattutto come testimonianza di un cambiamento nel modo di pensare l’altro e se stessi, oltre che testimonianza del cambiamento delle strutture governative, sociali e organizzative.
Ne sono un esempio gli archivi studiati dal prof. Della Misericordia risalenti al ’500, che testimoniano non solo la crescita delle razionalità governative (archivi più efficienti, istituzioni con una funzionalità più regolare), la creazione di una figura professionale volta all’archiviazione (notai) e della formazione di una autorità nel campo informativo, ma anche
una tecnicizzazione dell’altro definito in base ai propri tratti di appartenenza etnica, rispetto ad un diverso tipo di classificazione che si trova nei documenti del secolo precedente

La rete archivistica è anche uno spazio dialogico  dove si incontrano i problemi della produzione delle identità e del rapporto tra gruppi che non hanno le stesse risorse sociali e politiche.
Nonostante l'archiviazione rientri fortemente la dimensione della scrittura come "power device", nel rapporto con l'archivio è necessario superare l’oggettivismo ingenuo e la visione semplicistica che la scrittura sia irrimediabilmente compromessa dal controllo su di essa esercitato. Se da una parte, in una prospettiva genealogica, si può rintracciare nell’archivistica quattro-cinquecentesca le radici del nostro sistema neoliberale di accountability, è opportuno adottare parallelamente quella che il prof. Della Misericordia ha chiamato "prospettiva archeologica", che ci permette di vedere il documento nel suo contesto di produzione.

Nel basso medioevo e nell’antico regime, ad esempio, c’era una grande cultura del precedente e del consuetudinario. Alcuni diritti non erano certificati per iscritto, ma erano legittimati per il semplice fatto che erano stati fatti prima. Le forche ai confini delle giurisdizioni sono “l’oggettificazione” di queste pratiche normative: per affermare che il diritto di possedimento arrivava fino a lì, si faceva riferimento alle impiccagioni. Le domande volte ai testimoni durante le dispute per i diritti di proprietà erano di questo genere “ma tu hai visto eseguire una condanna a morte da questa autorità?”
La documentazione giuridica, facendo fede ad un documento scritto e non più all'aleatorietà della testimonianza orale, diveniva dunque, in un tale contesto, una fondamentale attestazione di un diritto, ovvero per poter dire “io ho affittato quel pascolo per tot tempo, quindi è mio di diritto”.

Possiamo dunque parlare di archiviazione come un processo che si svolge tra due diverse istanze politiche: difesa e diritto.

Numerose restano le questioni che restano da affrontare, aperte dal dibattito finale. Tra tutti gli spunti interessanti, quelli che mi colpiscono maggiormente sono il cambiamento dell’archivio nel suo divenire digitale nella società della “democratizzazione” cibernetica e la necessità di una etnografia che si interroghi su come venga prodotto il sapere archivistico che ogni società consegna al futuro.

In queste ipotetiche indagini è bene ricordare ciò che ha sottolineato il prof. Della Misericordia. Esiste sempre una specifica culturale macro (il valore del ricordo) e un elemento più ristretto (la scelta che è stata fatta dalla cultura documentaria medievale e di antico regime a favore di attestazioni giuridiche).


Al di là dell’illusione della fissità documentale archivistica, il documento scritto re-interrogato dallo studioso riacquista all of a sudden la sua polifonicità.

Bibliografia di riferimento:

Della Misericordia, M., 2013, "Le ambiguità dell'innovazione. La produzione e la conservazione dei registri della chiesa vescovile di Como (prima metà del XV secolo)", in I registri vescovili dell'Italia settentrionale (secoli XII-XV), a cura di A. Bertoli Langeli e A. Rigon, Roma, Herder Editrice, pp. 85-139.

Torre, A., 1987, "Antropologia sociale e ricerca storica", in La storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, a cura di P. Rossi, Milano, Il Saggiatore, pp. 206-239.