sabato 11 novembre 2017

Festival di antropologia e dintorni

Si svolge in questi giorni a Torino la XII edizione del Festival dell'Oralità Popolare, la manifestazione organizzata dalla Rete Italiana di Cultura Popolare. L'evento in realtà quest'anno per la prima volta prende il nome di Festival delle Culture Popolari, volendo segnare una discontinuità rispetto alle edizioni precedenti. Secondo gli organizzatori, il Festival "continua il suo lavoro sul patrimonio immateriale, sui riti, sulle tradizioni, sui dialetti e sui linguaggi, ma con forza pone l'accento sul presente, sull'incontro con altre culture: un difficile ma necessario percorso di trasformazione delle comunità locali, così com'è avvenuto molte volte nella storia dell'uomo". 

Il mio post nasce dalla seguente considerazione: nonostante l'evidente centralità di una manifestazione come questa rispetto alla corrente riflessione antropologica sul tema del nesso tra identità, comunità, patrimoni, territori e migrazioni, molto marginale (se non del tutto assente) resta la presenza degli antropologi tanto fra gli organizzatori dell'evento, quanto tra i relatori invitati a prendere la parola. 

Un piccolo esempio che segnala la nota difficoltà della nostra disciplina nell'emergere nel dibattito pubblico rivendicando le proprie competenze e i propri saperi come essenziali per un'analisi critica del presente. Eppure le occasioni propizie non mancherebbero. Solo per citare gli eventi e manifestazioni con cui sono entrato in contatto negli ultimi mesi: il Pisa Folk Festival, il Festival It.a.cà, la rassegna Il dialogo creativo di Pordenone... non sarebbero tutti luoghi dove sviluppare un'antropologia pubblica capace di intercettare un pubblico diverso da quello con cui ci confrontiamo quando teniamo una lezione all'università, o quando pubblichiamo articoli su una rivista scientifica?

Sforzi certamente ne sono stati fatti in questi anni, provando a ideare iniziative e festival anche dichiaratamente ed esplicitamente antropologici. Un decennio orsono, sotto l'impulso di Francesco Remotti, la città di Ivrea, in Piemonte, lanciò il suo Festival Antropologia: se ne tennero quattro edizioni (dal 2008 al 2011), prima che la manifestazione soccombesse, secondo le parole degli organizzatori, "ai tagli dei finanziamenti alla cultura del 2012". Maggior fortuna ha invece avuto (e continua ad avere) la manifestazione Dialoghi sull'uomo di Pistoia, che dal 25 al 27 maggio 2018 vivrà la sua nona edizione. Il programma del festival è firmato da Adriano Favole e Marco Aime e, attorno alle questione dell'antropologia del contemporaneo, intende offrire a chi partecipa nuovi sguardi sulle società umane, ponendo a confronto antropologi, artisti, giornalisti, scrittori e personalità di diversi ambiti culturali in un colloquio che attraversi i confini disciplinari e proponga letture inedite del mondo che ci circonda. Il grande successo di pubblico (anche giovanile) delle diverse edizioni è stato raggiunto anche coinvolgendo nomi noti del mondo dello spettacolo, da Vinicio Capossela a Toni Servillo, da Erri De Luca a Francesco Guccini. 

Un ultimo, interessante caso che vorrei citare è quello del neo-nato Millepiani - Festival dell'antropologia, organizzato per la prima volta nell'aprile 2017 dagli studenti dell'omonimo laboratorio di antropologia dell'Università di Bologna. Un'iniziativa molto partecipata, a cui anch'io ho avuto il piacere di portare un piccolo contributo, che fortunatamente verrà replicata anche nel 2018 e, speriamo, per gli anni a venire.

E voi? Conoscete altri festival dell'antropologia (in senso stretto o lato) che si tengono in Italia o in Europa? Vi avete partecipato? Segnalate, commentate, diteci la vostra!

sabato 4 novembre 2017

Buon viaggio!

Alcuni giorni fa mi trovano in Albania, a Tirana, per partecipare a un convegno su migrazione, diaspora e sviluppo nei Balcani occidentali. Come sempre avviene in queste occasioni, oltre a presentare e ascoltare papers, si conoscono nuovi colleghi e si stringono amicizie. Chiacchierando a pranzo con Miloš Đurović, giovane antropologo montenegrino del Dipartimento di Etnologia e Antropologia dell'Università di Belgrado, la conversazione ha finito per toccare la questione dello "stato di salute" della nostra disciplina in Italia. "Non conosco molti colleghi italiani, lo devo ammettere", mi dice Miloš, "ma mi ricorderò sempre che il primo libro di antropologia che ho letto da studente è stato la traduzione in serbo di un bel volume introduttivo scritto proprio da tre antropologi italiani... non ricordo i loro nomi, ma il libro si intitolava 'Dal tribale al globale' o qualcosa del genere... non so se lo conosci".
Sì, lo conosco, eccome. A parte il malcelato orgoglio per la fortunata circolazione in Italia e all'estero dei volumi di antropologia made in Bicocca, questo episodio me ne ha fatto tornare alla mente un'altro, di qualche anno fa. Torno con la mente al 2005, sono anch'io uno studente, immatricolato alla Facoltà di Lingue Straniere dell'Università di Torino. Esame a scelta: Antropologia culturale, per i necessari cfu in Discipline demoetnoantropologiche. Primo volume da studiare per l'esame: "Storia dell'antropologia", di Ugo Fabietti. Il mio primo libro di antropologia, colpo di fulmine.

Sfoglio oggi quel libro. Pagine ingiallite e super sottolineate, con segnalibri vari e appunti a lato di ogni paragrafo. Graffe, punti esclamativi e interrogativi a segnare i passaggi più importanti e quelli incompresi. La copertina è stata mezza strappata, chissà quando, e poi aggiustata con il nastro adesivo, ormai rinsecchito. Rimetto il libro in biblioteca, con un sorriso.

Sei mesi fa Ugo Fabietti ci ha lasciato. 
Dopo la pausa estiva ricominciano le attività del DACS, con un nuovo ciclo di dottorandi del primo anno, mentre altri partono per il lavoro di campo e altri ancora sono impegnati nella scrittura della tesi. Per tutti loro, per tutti noi, rileggere le parole dell'introduzione a quella "Storia dell'antropologia" è forse il modo migliore per augurare: "Buon viaggio!".

"L'antropologia, che è un sapere relativamente giovane, merita l'attenzione dei giovani (e anche dei meno giovani) in quanto è la forma più sofisticata di riflessione che la nostra civiltà abbia saputo elaborare intorno al tema dell'alterità culturale, divenuto centrale per tutti quanti sono destinati a vivere in una dimensione sempre più planetaria".