“Servirsi nel piatto degli altri
con meno complessi possibili”. È con questa definizione di interdisciplinarietà
che il Prof. Heim Burstin, docente di Storia Moderna presso il nostro Ateneo,
ha dato il via al seminario DACS tenutosi il 24 maggio 2017. Se la Storia ha un
privilegio, infatti, è proprio quello di poter instaurare un dialogo “predatorio”
con tutti i saperi disciplinari che si avvicendano nel panorama accademico e
non solo; privilegio ingrato, poiché solo lo scorrere inesorabile del tempo può
concederlo. Di qui la proposta di un innesto consolatorio che a partire da una
prospettiva storica possa tentare di pacificare il disagio della nostra “scienza
inquieta”, come ebbe a definire l’antropologia il Prof. Malighetti durante uno
dei primi seminari.
Cristoforo Colombo |
Da studioso ed esperto di
Rivoluzione Francese, Burstin ha tuttavia voluto offrire il suo prezioso
contributo parlandoci di un’altra rivoluzione; quella che nel corso del 1400
portò letteralmente alla moltiplicazione dei mondi conosciuti. A partire da una
prospettiva storica esplicitamente riferita all’approccio della World History,
dunque legata a istanze anti-etnocentriche (dal sapore inevitabilmente antropologico),
la lezione si è proposta con il seguente titolo emblematico: “L’espansione
europea nel Tardo Medioevo” e ha inteso illuminare quel cono d’ombra che
soggiace dietro la scoperta dell’America o, per dirla con Todorov, “la
conquista” dell’America; una zona temporale spesso sacrificata alla memorabile
data del 1492, come se per quell’impresa non fossero occorsi secoli di
conoscenze stratificate, tecnologie trasversali, esperimenti audaci e miserabili
fallimenti. Solo partendo da tale presupposto è possibile dunque convincersi
del fatto che la traversata di Colombo non fu un che un punto d’arrivo, l’esito
glorioso (e sanguinario) di una serie innumerevole di fattori che la resero
possibile, tanto dal punto di vista immaginativo, quanto, soprattutto, dal
punto di vista pratico.
Mappa dell'El Dorado |
Al di là delle fantasie che per
secoli hanno alimentato le più fervide utopie e le più orrorifiche paure da
proiettare oltre le Colonne d’Ercole, in uno spazio immaginario e immaginato,
popolato di amazzoni, creature fantastiche e paradisi terrestri – fantasie concretizzatesi
nelle cartine geografiche del tempo così come nell’aspettativa mossa da avidità
dei conquistadores -, restano le
evoluzioni tecnologiche che i saperi di avventurosi esploratori, naviganti e
scienziati, hanno trasformato in strumenti di navigazione indispensabili all’espansione
europea: bussole, sestanti, cartine, timoni, alberi da vela, imbarcazioni…
Tutti strumenti che, applicati alla scoperta dei grandi venti costanti e
regolari degli Alisei, permisero di approdare nelle Indie Occidentali.
Ma non è
tutto. Afferma Burstin, infatti, che proprio nell’ottica di una Storia che
sappia ragionare su grande scala è doveroso aggiungere dinamiche di più ampio
respiro che sospinsero quelle caravelle pioniere attraverso l’Atlantico. Non bisogna
dimenticare, allora, la forte crescita demografica che caratterizzava il
periodo tardo medievale e la conseguente esigenza di reperire risorse
alimentari che ne potessero soddisfare la fame; così come il progetto religioso
di espansione della fede cattolica, in cerca di proseliti da catechizzare; e la
necessità di sviluppare vie marittime alternative alla rotta mediterranea che
consentissero di raggiungere l’Oriente, dal momento in cui l’Impero Ottomano ne
ostacolava il transito; ma anche il bisogno di oro e argento per la coniazione
della moneta, così come il bisogno di spezie ed altri beni ancora. Solo prendendo
in considerazione l’insieme congiunto di tutti questi elementi è possibile
leggere la storia di Colombo in una prospettiva anti-etnocentrica e cominciare,
dunque, a vedere con altri occhi tutto quel che seguì quel fatidico 1492.
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