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Sì, lo conosco, eccome. A parte il malcelato orgoglio per la fortunata circolazione in Italia e all'estero dei volumi di antropologia made in Bicocca, questo episodio me ne ha fatto tornare alla mente un'altro, di qualche anno fa. Torno con la mente al 2005, sono anch'io uno studente, immatricolato alla Facoltà di Lingue Straniere dell'Università di Torino. Esame a scelta: Antropologia culturale, per i necessari cfu in Discipline demoetnoantropologiche. Primo volume da studiare per l'esame: "Storia dell'antropologia", di Ugo Fabietti. Il mio primo libro di antropologia, colpo di fulmine.
Sfoglio oggi quel libro. Pagine ingiallite e super sottolineate, con segnalibri vari e appunti a lato di ogni paragrafo. Graffe, punti esclamativi e interrogativi a segnare i passaggi più importanti e quelli incompresi. La copertina è stata mezza strappata, chissà quando, e poi aggiustata con il nastro adesivo, ormai rinsecchito. Rimetto il libro in biblioteca, con un sorriso.
Sei mesi fa Ugo Fabietti ci ha lasciato.
Dopo la pausa estiva ricominciano le attività del DACS, con un nuovo ciclo di dottorandi del primo anno, mentre altri partono per il lavoro di campo e altri ancora sono impegnati nella scrittura della tesi. Per tutti loro, per tutti noi, rileggere le parole dell'introduzione a quella "Storia dell'antropologia" è forse il modo migliore per augurare: "Buon viaggio!".
"L'antropologia, che è un sapere relativamente giovane, merita l'attenzione dei giovani (e anche dei meno giovani) in quanto è la forma più sofisticata di riflessione che la nostra civiltà abbia saputo elaborare intorno al tema dell'alterità culturale, divenuto centrale per tutti quanti sono destinati a vivere in una dimensione sempre più planetaria".
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