Alcuni giorni fa mi trovano in Albania, a Tirana, per partecipare a un convegno su migrazione, diaspora e sviluppo nei Balcani occidentali. Come sempre avviene in queste occasioni, oltre a presentare e ascoltare papers, si conoscono nuovi colleghi e si stringono amicizie. Chiacchierando a pranzo con Miloš Đurović, giovane antropologo montenegrino del Dipartimento di Etnologia e Antropologia dell'Università di Belgrado, la conversazione ha finito per toccare la questione dello "stato di salute" della nostra disciplina in Italia. "Non conosco molti colleghi italiani, lo devo ammettere", mi dice Miloš, "ma mi ricorderò sempre che il primo libro di antropologia che ho letto da studente è stato la traduzione in serbo di un bel volume introduttivo scritto proprio da tre antropologi italiani... non ricordo i loro nomi, ma il libro si intitolava 'Dal tribale al globale' o qualcosa del genere... non so se lo conosci".
Sì, lo conosco, eccome. A parte il malcelato orgoglio per la fortunata circolazione in Italia e all'estero dei volumi di antropologia made in Bicocca, questo episodio me ne ha fatto tornare alla mente un'altro, di qualche anno fa. Torno con la mente al 2005, sono anch'io uno studente, immatricolato alla Facoltà di Lingue Straniere dell'Università di Torino. Esame a scelta: Antropologia culturale, per i necessari cfu in Discipline demoetnoantropologiche. Primo volume da studiare per l'esame: "Storia dell'antropologia", di Ugo Fabietti. Il mio primo libro di antropologia, colpo di fulmine.
Sfoglio oggi quel libro. Pagine ingiallite e super sottolineate, con segnalibri vari e appunti a lato di ogni paragrafo. Graffe, punti esclamativi e interrogativi a segnare i passaggi più importanti e quelli incompresi. La copertina è stata mezza strappata, chissà quando, e poi aggiustata con il nastro adesivo, ormai rinsecchito. Rimetto il libro in biblioteca, con un sorriso.
Sei mesi fa Ugo Fabietti ci ha lasciato.
Dopo la pausa estiva ricominciano le attività del DACS, con un nuovo ciclo di dottorandi del primo anno, mentre altri partono per il lavoro di campo e altri ancora sono impegnati nella scrittura della tesi. Per tutti loro, per tutti noi, rileggere le parole dell'introduzione a quella "Storia dell'antropologia" è forse il modo migliore per augurare: "Buon viaggio!".
"L'antropologia, che è un sapere relativamente giovane, merita l'attenzione dei giovani (e anche dei meno giovani) in quanto è la forma più sofisticata di riflessione che la nostra civiltà abbia saputo elaborare intorno al tema dell'alterità culturale, divenuto centrale per tutti quanti sono destinati a vivere in una dimensione sempre più planetaria".
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