Il lavoro dell’antropologo è indissolubilmente legato alla scrittura. Insieme a Francesco Vietti, in questo incontro dedicato allo scrivere, abbiamo riflettuto sulle molteplici forme di scrittura e sui differenti contesti in cui l’antropologo può esercitare questa attività.
I due principali contesti in cui l’antropologo scrive sono il campo e l’accademia.
Le note di campo sono il primo tentativo di descrivere l’Altro. E possono comprendere descrizioni di sensazioni, mappe e disegni, parole e traduzioni e tutto ciò che in quel momento ci sembra più adatto per fermare su carta l’incontro con l’Altro. Tuttavia, è sempre necessaria un’ulteriore rielaborazione per tradurre e rendere esplicita “la natura orale e inconscia dei fenomeni” (Fabietti, 2012, p. 116).
Come dimostra lo schema qui accanto:
“La scrittura, dopo essere risalita dall’alterità verso la differenza (producendo la monografia), e dopo aver superato dimensione orale e dimensione inconscia riportando la prima ad una traduzione (scritta) e la seconda a senso (esplicito), confluisce nel corpus etnografico per ridiscenderne sotto forma di precomprensione e per dirigersi nuovamente verso l’alterità, guidando le modalità di avvicinamento dell’etnografo al suo oggetto” (Fabietti, 2012, p. 117).
Il quaderno di campo è, quindi, utile all’antropologo per avvicinarsi progressivamente all’Altro. Ma raggiunto questo fine, il quaderno di campo non serve più?
Sul sito del Council for the Preservation of Anthropological Records sono conservati numerosi dati etnografici provenienti da quaderni di campo di alcuni antropologi. Questi dati, oltre a servire da ispirazione, possono essere utilizzati nelle ricerche di altri antropologi? È questa la domanda lasciata aperta durante la nostra discussione.
Per quanto riguarda l’accademia, invece, è indispensabile saper trasformare questi dati grezzi raccolti sul campo in conoscenze utili per la comunità scientifica. Tradurre i propri dati in concetti accademici è molto problematico. L’antropologo spesso è costretto a sacrificare storie di vita, dialoghi e lunghe descrizioni, che caratterizzano la sua ricerca, in favore di uno stile più conciso e lineare, al fine di vedere pubblicati i suoi lavori.
Del resto, sono sacrifici che secondo Boyer (2016) è necessario fare, in quanto, al giorno d’oggi pubblicare articoli accademici è di fondamentale importanza per la “sopravvivenza professionale” di un antropologo. Quando si dice: “publish or perish”!
Secondo Remotti, come riportato in un’intervista rilasciata a Francesco Vietti, la scrittura struttura la vita sul campo. Durante le fasi di osservazione, lo scrivere non deve essere motivo di distacco, ma di coinvolgimento con i presenti. Quando la scrittura diventa un momento intimo, la riflessione privata si trasforma in una circostanza in cui “si tirano fuori dal magma emotivo gli snodi concettuali”, sostiene Remotti. La scrittura, rispetto al pensiero, è unidirezionale e ci aiuta a creare un filo conduttore tra i nostri pensieri e a collegarli con le osservazioni etnografiche e i testi di altri autori.
L’antropologo può anche scegliere di diffondere le proprie conoscenze oltre l’ambito scientifico, come scrive Wulff (2016). Per Helena Wulff, pubblicare articoli su giornali non accademici è stato un modo per rendere le proprie ricerche di facile accesso e in questo modo ricambiare le persone che le hanno permesso di fare etnografia.
Anche secondo Aime, intervistato da Francesco Vietti, la divulgazione non è banalizzazione, ma significa tradurre il dibattito accademico in qualcosa di leggibile.
In ogni caso, lo scrivere, che sia sul diario o che sia per contesti accademici e non, comporta la nascita di una relazione sia con se stessi che con l’Altro. Scrivere non è una attività solitaria. Quando si scrive bisogna pensare al lettore, come afferma Viazzo in una intervista rilasciata a Francesco Vietti. Ogni volta che si scrive ci si deve domandare: per chi scrivo?
Bibliografia
Boyer D., 2016, "The Necessity of Being a Writer in Anthropology Today", in Wulff H., 2016, The Anthropologist as a Writer. Genres and Contexts in the Twenty-First Century, Berghahn, New York.
Clifford J., Marcus G. E., 1986, Writing Culture: The Poetics and Politics of Ethnography, University of California Press.
Fabietti U., 2012, Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, Editori Laterza, Lecce.
Fabietti U., Matera V., 1997, Etnografia: Scritture e rappresentazioni dell’antropologia, Carrocci, Roma.
Wulff H., 2016, The Anthropologist as a Writer. Genres and Contexts in the Twenty-First Century, Berghahn, New York.
I due principali contesti in cui l’antropologo scrive sono il campo e l’accademia.
Le note di campo sono il primo tentativo di descrivere l’Altro. E possono comprendere descrizioni di sensazioni, mappe e disegni, parole e traduzioni e tutto ciò che in quel momento ci sembra più adatto per fermare su carta l’incontro con l’Altro. Tuttavia, è sempre necessaria un’ulteriore rielaborazione per tradurre e rendere esplicita “la natura orale e inconscia dei fenomeni” (Fabietti, 2012, p. 116).
Come dimostra lo schema qui accanto:
“La scrittura, dopo essere risalita dall’alterità verso la differenza (producendo la monografia), e dopo aver superato dimensione orale e dimensione inconscia riportando la prima ad una traduzione (scritta) e la seconda a senso (esplicito), confluisce nel corpus etnografico per ridiscenderne sotto forma di precomprensione e per dirigersi nuovamente verso l’alterità, guidando le modalità di avvicinamento dell’etnografo al suo oggetto” (Fabietti, 2012, p. 117).
Il quaderno di campo è, quindi, utile all’antropologo per avvicinarsi progressivamente all’Altro. Ma raggiunto questo fine, il quaderno di campo non serve più?
Sul sito del Council for the Preservation of Anthropological Records sono conservati numerosi dati etnografici provenienti da quaderni di campo di alcuni antropologi. Questi dati, oltre a servire da ispirazione, possono essere utilizzati nelle ricerche di altri antropologi? È questa la domanda lasciata aperta durante la nostra discussione.
Esempio di quaderno di campo |
Del resto, sono sacrifici che secondo Boyer (2016) è necessario fare, in quanto, al giorno d’oggi pubblicare articoli accademici è di fondamentale importanza per la “sopravvivenza professionale” di un antropologo. Quando si dice: “publish or perish”!
Secondo Remotti, come riportato in un’intervista rilasciata a Francesco Vietti, la scrittura struttura la vita sul campo. Durante le fasi di osservazione, lo scrivere non deve essere motivo di distacco, ma di coinvolgimento con i presenti. Quando la scrittura diventa un momento intimo, la riflessione privata si trasforma in una circostanza in cui “si tirano fuori dal magma emotivo gli snodi concettuali”, sostiene Remotti. La scrittura, rispetto al pensiero, è unidirezionale e ci aiuta a creare un filo conduttore tra i nostri pensieri e a collegarli con le osservazioni etnografiche e i testi di altri autori.
L’antropologo può anche scegliere di diffondere le proprie conoscenze oltre l’ambito scientifico, come scrive Wulff (2016). Per Helena Wulff, pubblicare articoli su giornali non accademici è stato un modo per rendere le proprie ricerche di facile accesso e in questo modo ricambiare le persone che le hanno permesso di fare etnografia.
Anche secondo Aime, intervistato da Francesco Vietti, la divulgazione non è banalizzazione, ma significa tradurre il dibattito accademico in qualcosa di leggibile.
In ogni caso, lo scrivere, che sia sul diario o che sia per contesti accademici e non, comporta la nascita di una relazione sia con se stessi che con l’Altro. Scrivere non è una attività solitaria. Quando si scrive bisogna pensare al lettore, come afferma Viazzo in una intervista rilasciata a Francesco Vietti. Ogni volta che si scrive ci si deve domandare: per chi scrivo?
Bibliografia
Boyer D., 2016, "The Necessity of Being a Writer in Anthropology Today", in Wulff H., 2016, The Anthropologist as a Writer. Genres and Contexts in the Twenty-First Century, Berghahn, New York.
Clifford J., Marcus G. E., 1986, Writing Culture: The Poetics and Politics of Ethnography, University of California Press.
Fabietti U., 2012, Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, Editori Laterza, Lecce.
Fabietti U., Matera V., 1997, Etnografia: Scritture e rappresentazioni dell’antropologia, Carrocci, Roma.
Wulff H., 2016, The Anthropologist as a Writer. Genres and Contexts in the Twenty-First Century, Berghahn, New York.