Lunedì 10 dicembre l’Università
degli studi di Milano-Bicocca ha ospitato il seminario del Professor Yang Shengmin della Minzu University of China dal titolo “Chinese ethnology. The
contributions of the past and the prospects of the future”.
Il Professor Yang Shengmin ha
illustrato brevemente lo sviluppo della disciplina antropologica in Cina
soffermandosi in particolar modo sulle continue disgregazioni e successive
riaggregazioni dei dipartimenti di studi sociali e antropologici. Il popolo
cinese e di conseguenza anche i suoi intellettuali vissero un lungo periodo di
isolamento dagli anni 20 del Novecento. Durante il periodo comunista,
indicativamente dal 1966 fino alla morte del leader Mao Tse-Tung nel 1976
vennero coniati nuovi codici di condotta e divennero vitali nuovi concetti
chiave, come “nazione”, “società” ed “etnia”. In questo periodo storico gli
insegnamenti antropologici ed etnologici vennero aboliti in quanto pregni di
valori borghesi e quindi lontani dall’idea di utilità che ha guidato il
comunismo cinese anche successivamente alla morte di Mao.
Eppure negli anni precedenti
l’ascesa del potere di partito diversi erano stati i contatti fra antropologi
cinesi e stranieri, soprattutto occidentali e russi, che resero possibile la
traduzione di testi fondanti della disciplina anche per il pubblico cinese.
Negli anni 20 del Novecento la disciplina visse un periodo di splendore,
sebbene permeato da un alone di isolamento politico ed economico, che portò
alla nascita di diverse istituzioni fondamentali per l’avanzamento scientifico
come ad esempio la Chinese Society of Ethnology fondata nel 1928 a Nanchino.
Diversi antropologi insegnarono in questi istituti e dipartimenti universitari
come ad esempio Fei Xiaotong o Wu Wenzao: questi ed altri studiosi si erano
formati nel continuo confronto con le scuole di pensiero occidentale e
cercarono sempre di rimanere in contatto con la comunità accademica estera.
Sebbene questi studiosi avessero
studiato la disciplina antropologica attraverso le teorie scientifiche
occidentali, ciò non impedì loro di proporre propri framework teorici e
applicarli soprattutto all’interno degli ethnic studies. Dal 1937 al 1949 gli
antropologi cinesi vissero un periodo di fioritura teorica e vi fu l’ampliamento
dei campi di applicazione del sapere: la guerra fra Cina e Giappone per il
territorio della Manciuria e della Mongolia rese necessario uno studio
approfondito dei gruppi etnici presenti nelle zone di confine. La Cina iniziò
dunque ad attrarre anche studiosi stranieri interessati alle dinamiche
interetniche e di potere all’interno della società cinese; si assistette ad una
progressiva occidentalizzazione (sempre all’interno dell’area cinese) del focus
antropologico.
Il Professor Yang Shengmin,
interrogato sulle caratteristiche dell’antropologia cinese, ha indicato quali
siano i pilastri fondamentali della disciplina: l’applicabilità (la visione cioè
dell’antropologia come uno strumento, concetto sul quale si è più volte
ritornati), l’interdisciplinarità, l’analisi contestuale storica, il focus sui
communities studies ed infine il ruolo del marxismo. Dal 1949 al 1964
l’antropologia cinese ha attraversato due fasi probatorie importanti; in primo
luogo si è assistito alla progressiva trasformazione del National
Identification Survey che permetteva di raccogliere e catalogare una grande
quantità di dati a proposito delle minoranze presenti sul territorio cinese.
L’influenza dell’etnologia sovietica fu fondamentale per questa fase di
sviluppo della disciplina, che diveniva dunque asservita alla costruzione
nazionale sotto l’influsso della volontà del partito. L’identificazione etnica di tutte le minoranze
presenti sul territorio divenne la base sulla quale costruire l’unità dello
stato nazione e si continuarono a finanziare progetti di ricerca inerenti
queste tematiche per 14 anni. Eppure negli anni 60 si assistette ad un
progressivo allontanamento della Cina dall’Urss e di conseguenza terminarono
diversi progetti di ricerca e cooperazione. Si entrò quindi nella seconda fase
probatoria che affrontarono gli antropologi cinesi che si videro fortemente
contestati in quanto “elementi di destra” e portatori di un’antropologia
altamente borghese. In questo periodo l’etnologia di stampo sovietico venne
fortemente criticata come revisionista e messa da parte per far spazio agli
ethnic studies che dagli anni 60 in poi rimpiazzarono totalmente l’etnologia.
Se dal 1966 al 1976, sotto il
regime di Mao Tse-Tung, l’antropologia cinese venne tacciata di essere una
disciplina borghese e di conseguenza marginalizzata, nel 1978 con Deng Xiaoping
la disciplina visse una nuova era. Nei trent’anni successivi si assistette a
grandi cambiamenti: la disciplina tornò ad essere insegnata nelle università,
si concluse il periodo isolazionista e si ebbe il superamento della divisione
delle varie scuole teoriche. Negli anni 90 la Cina dovette affrontare grandi
problemi a partire da un aumento sproporzionato della popolazione rispetto alle
risorse disponibili, la tensione crescente fra città e campagna, la
globalizzazione, lo sviluppo economico, i nuovi impianti industriali ed i
problemi ambientali. Queste problematiche, dovute anche alla rapida e
prepotente entrata della Cina sul mercato internazionale, ha acceso focolari
etnici e lotte di classe che parevano sopite, riaccendendo di conseguenza anche
l’interesse di diversi antropologi per la Cina e la sua immensa ricchezza.
Fra gli interventi dei
partecipanti due argomenti hanno colpito la mia attenzione. Mi riferisco in
particolar modo alla questione della colonizzazione interna e del ruolo fra
antropologi cinesi e campo di ricerca africano. Il fantasma del colonialismo si
è manifestato anche in questo seminario ma non è stato possibile decostruire
parte della risposta che il Professor Yang Shengmin ci ha fornito. La prima
domanda riguardava la questione della han-izzazione del territorio cinese e se
questa presenza maggioritaria dell’etnia Han non corrisponda ad una qualche
forma di colonizzazione delle altre 55 etnie cinesi e se non vi sia uno
sbilanciamento di potere e rappresentazione etnica. Mentre la seconda domanda
riguardava il ruolo dell’antropologia cinese contemporanea rivolta ad altri
paesi, in particolare al contesto africano. La nostra disciplina si porta
tuttora con sé lo spettro del giustificazionismo del periodo coloniale e
appare dunque importante pensare criticamente al ruolo che gli antropologi
giocano sul campo nell’attualità. L’Africa è un continente nel quale gli
interessi sono sempre più manifesti soprattutto per quanto concerne lo
sfruttamento delle risorse naturali e quindi sarebbe interessante analizzare i
ruoli politici, economici e sociali giocati (anche) dagli antropologi impegnati
nello studio delle società africane.
A conclusione del suo intervento,
il Professor Yang Shengmin ha voluto sottolineare nuovamente l’importanza della
disciplina antropologica per la sua rilevanza sociale e per l’allenamento del
pensiero critico, invitando i partecipanti a focalizzare l’attenzione e
l’analisi antropologica sulle potenzialità applicativa della ricerca.