Il
metodo biografico si è imposto come una delle metodologie di ricerca
etnografica più rilevanti e utilizzate nel panorama antropologico
contemporaneo. Emerse con peculiare autorità a partire dalla svolta
post-strutturalista nella disciplina, le biografie di chi prende
parte alle ricerche degli antropologi sono diventate una delle
risposte possibili alla profonda critica di metodo e riflessività
disciplinare mossa dall'ormai classico Writing
Culture (Clifford & Marcus 1986).
Il metodo, tuttavia, insieme al carico di meditazioni teoriche che fa
scaturire, non è sorto dal nulla né è stato il risultato di un
ripensamento puramente intellettuale di termini e condizioni. Al
contrario, ha una storia, un contesto e una serie di possibilità che
apre per il futuro riposizionamento filosofico della ricerca. Sono
state queste le questioni al centro del seminario “Biografie e
contesto: come lavorare sulle traiettorie esistenziali in
etnografia”, spalmato su due incontri coordinati dalla Prof. Silvia
Vignato.
La Vida, una pubblicazione successiva di Lewis di enorme successo in America. |
Per
quanto una nota critica post-moderna degli scritti antropologici
avesse sottolineato come i “padri” della disciplina avessero
sistematicamente bypassato le vite dei loro informatori come
individui in favore di costruzioni tipologiche (da Boas a Griaule,
fino ai “balinesi” di Geertz), l'attenzione alle biografie dei
partecipanti alle ricerche antropologiche ha un antenato di gran
rilievo – e presciente rispetto al modo in cui questo tipo di
ricerche verrà svolto a partire dagli anni Ottanta – in The
Children Of Sanchez di Oscar Lewis
(1961). In questo celebre volume dell'antropologia economica, dopo
aver espletato i classici alberi genealogici e le mappe di vicinato,
Lewis fa raccontare dai personaggi stessi (cinque) della ricerca le
loro autobiografie, in cui emergono i particolari della vita di una
famiglia messicana alle prese con difficoltà economiche,
disoccupazione e alcolismo, da cui scaturisce poi, secondo Lewis,
il concetto di “cultura della povertà”.
The
Children Of Sanchez anticipa in un
certo modo tanti dei temi che verrano poi affrontati in maniera più
analitica da tanta antropologia a venire. Tra questi, sul piano
metodologico, la differenza tra narrazione e autonarrazione.
Quest'ultima, in particolare, è stata discussa durante il seminario
come soggetta a processi narrativi e culturali in maniera non troppo
differente rispetto alla prima: in altre parole, il modo in cui ci si
auto-narra è ugualmente contestuale e influenzato culturalmente. Una
delle soluzioni possibili dall'empasse
epistemologico in cui l'antropologo si trova, quindi, è stata quella
di “calarsi” nella scena etnografica stessa, entrando
nell'ordinario del campo (Das 2007, Han 2015) e/o presentare
l'etnografia come testo scritto nella forma di dialogo tra
l'etnografo e il partner di ricerca.
Come
accennato in apertura, tuttavia, il metodo biografico non è una
riflessione metodologica sospesa nel nulla, ma si è sviluppato in
seno ad un movimento storico preciso e più ampio, fotografato dai
contributi di Sherry Ortner e Joel Robbins (Ortner 2016, Robbins
2013). Robbins ha fatto notare come l'attenzione alle biografie e più
in generale all'individuo all'interno delle ricerche etnografiche è
emerso all'interno di una svolta di focus da quello che lui ha
definito savage slot ethnography
a una suffering slot ethnography.
La “scomparsa” del nativo come oggetto di ricerca auto-costituitosi in quanto “alterità” ha fatto sì che gli
antropologi andassero a trovare nel soggetto sofferente un tema di
ricerca similmente e trasparentemente valido, questa volta appoggiato
sul presupposto dell'universalità della sofferenza come emozione
incorporata. Questa tendenza, definita dalla Ortner “dark
anthropology”, va contestualizzata secondo l'antropologa da una
parte dal sorgere del modello neoliberale e del carico di insicurezze
e diseguaglianze portato con sé anche nelle società di cui gli
antropologi fanno parte. Dall'altra, come evidenziato da Flavia
Cuturi (2012), troviamo la progressiva ossessione per l'individuo, il
soggetto e le narrative del sé, proiettata anche dai canali
massmediatici, dall'utilizzo (pseudo?) personalizzato dei social
media alla popolarizzazione delle biografie e autobiografie come
genere letterario.
Professor Joel Robbins |
Questo
è, in altri termini, il fulcro di questo modo di fare etnografia,
una modalità in grado di restituire il punto di vista
dell'antropologia come disciplina: mettere in crisi l'etnografo,
ricostruire un vero
(Fassin, 2014) che indichi come vissuti “altri”, forse migliori
rispetto a quello dell'antropologo o forse no, esistano e valgano la
pena entrarci in conversazione.
Bibliografia:
Clifford, J. & Marcus G. (1986) Writing Culture. University of California Press;
Cuturi, F. (2012) Storie di vita e soggettività sotto assedio, Annuario di Antropologia, 14: 30-70;
Das, V. (2007) Life and Words. Violence and the Descent into the Ordinary. University of California Press;
Fassin, D. (2014). True life, real lives: Revisiting the boundaries between ethnography and fiction. American Ethnologist, 41(1), 40-55;
Han, C. (2015) Echoes of Death: Violence, Endurance, and Experience of Loss. Living and Dying in the Contemporary World: A Compendium, 493-509;
Laidlaw, J. (2002) For an anthropology of ethics and freedom. Journal of the Royal Anthropological Institute 8: 311-32.
Lewis, O. (1961) The Children Of Sanchez. New York: Random Hause.
Mattingly, C. (2010) The paradox of hope: journeys through a clinical borderland. Berkeley: University of California Press;
Ortner, S. (2016) Dark anthropology and its Other: Theory since the Eighties. HAU: Journal of Ethnographic Theory 6(1): 47-73;
Robbins, J. (2007) Between reproduction and freedom: morality, value, and radical cultural change. Ethnos 72: 293-314.
Robbins, J. (2013) Beyond the suffering subject: toward an anthropology of the good. Journal of the Royal Anthropological Institute, 19(3): 447-462
Sykes, K. 2005. Arguing with anthropology: an introduction to critical theories of the gift. London: Routledge;
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