Ogni fase della vita, dalla nascita alla morte (infanzia, adolescenza, età adulta, vecchiaia), è connotata da diversi ruoli, responsabilità, diritti e doveri, e questi cambiano insieme alla prima, tanto nel percorso di formazione e poi lavorativo che in quella che viene definita come sfera privata, ovvero la famiglia. Il lavoro di cura mostra come le cartografie relazionali di quest’ultima si allarghino ben oltre quella nucleare (alla quale in particolare nel Nord del mondo viene fatta coincidere la sfera privata) e che queste siano basate tendenzialmente sulla reciprocità intergenerazionale. Come sottolineano Deborah Bryceson e Ulla Vuorela, la famiglia, proprio come la nazione o l’etnicità, può essere considerata una comunità immaginata, alla quale si può decidere di appartenere o meno (o gli altri possono deciderlo per noi):
«si può essere nati in una famiglia e in una nazione, ma il senso di appartenenza può essere una questione di scelta e negoziazione. Si può cambiare la propria nazionalità e cittadinanza così come si può modificare la propria famiglia e la propria appartenenza nella pratica quotidiana. L'inclusione di membri dispersi all'interno della famiglia è confermata e rinnovata attraverso vari scambi e punti di contatto» (Bryceston and Vuorela, 2002, pag.10).
In uno dei testi che più di tutti hanno rivoluzionato gli studi dei rapporti sociali all’interno della famiglia, Negotiating Family Responsibilities (1993), Janet Finch e Jennifer Mason affermano che «le responsabilità tra familiari non sono il diretto prodotto di regole obbligatorie. Sono, noi crediamo, il prodotto della negoziazione » (Finch & Mason, 1993, p.59). Le autrici «nel trattare le "responsabilità" come impegni creati piuttosto che come regole d’obbligo» sostengono «fermamente che sono il prodotto dell'agire umano e non una proprietà esterna della struttura sociale sulla quale gli individui non hanno alcun controllo. Ma c'è anche un senso in cui diventano elementi strutturali, in quanto vincolano e facilitano le azioni future» (Finch & Mason, 1993, p.170).
La reciprocità, ad esempio, ha un ruolo fondamentale nella negoziazione delle responsabilità familiari: vista la necessità di rinnovare costantemente la fiducia che gli altri ripongono in loro, un soggetto difficilmente rinuncia al proprio ruolo di donatore, così come a quello di beneficiario. Eppure la reciprocità riconosce anche la possibilità che il ruolo di donatore e beneficiario non siano simultanei come in una transazione economica: offrire un dono crea sì l’aspettativa di riceverne un altro, ma si accetta, e a volte ci si aspetta, che questo contro-dono venga fatto in un momento differito. È il caso di genitori e figli, nel quale i primi prendono in carico il lavoro dei cura dei secondi nei primi anni della loro vita aspettandosi che questi facciano altrettanto per loro negli ultimi anni. Il dovere morale di fornire assistenza e la necessità di essere assistiti sono legati culturalmente all’età, sono situati in specifiche fasi della vita e le transizioni correlate al corso della vita implicano cambiamenti del ruolo dell’individuo e delle aspettative nei suoi confronti all’interno della rete familiare. Come affermano Heike Drotbohm e Erdmute Alber,
«le transizioni nel corso della vita trasformano tanto il dovere quanto il diritto di fornire o ricevere cure. In questo senso, la cura è una pratica di una specifica fase della vita che non può essere analizzata da una prospettiva individuale, ma collega individui all'interno e attraverso le generazioni (Braungart e Braungart 1986). In secondo luogo, l'assistenza contribuisce alla costruzione delle fasi della vita in un doppio senso, vale a dire, l'aspettativa normativa di ricevere assistenza e il dovere (o abilità) di fornire assistenza » (Alber & Drotbohm, 2015, p.11).
Tuttavia ci sembra importante sottolineare come la realtà si presenti sempre in maniera più sfumata, ad esempio gli anziani non sono quasi mai soggetti esclusivamente passivi e possono continuare a prendersi cura dei figli e/o dei nipoti, anche solo nell’accumulazione di beni destinati a diventare eredità, le aspettative nei confronti di un individuo si modificano ininterrottamente in relazione alla fase della vita attraversata.
Una questione rilevante rispetto al lavoro di cura all’interno della famiglia è senza dubbio la trasgressione della reciprocità intergenerazionale: malgrado le persone tendano a considerare la cura familiare più affidabile e preferibile a quella offerta dallo Stato o dal settore privato, non sono così rare le occasioni in cui questa norma non viene rispettata. I figli adulti possono rifiutarsi di prendersi cura dei genitori anziani anche se questi si sono presi cura di loro quando erano bambini e adolescenti. Può accadere per la rottura dei rapporti o per egoismo, ma anche perché non sono in grado di farlo. Non tutti infatti sono in grado di fornire lavoro di cura non retribuito in base alle aspettative legate alla reciprocità: ostacoli come restrizioni legate al visto per i migranti o difficoltà economiche impediscono di occupare il ruolo adeguato per la propria fase della vita.
Un esempio etnografico che mostra l’impossibilità di dare per scontata la reciprocità intergenerazionale è lo studio di Tabea Häberlein su Asséré, un villaggio situato nel nord del Togo (2015). In questo contesto infatti la cura degli anziani è legata alla disponibilità demografica dei membri più giovani della famiglia. Lo status sociale degli anziani, oltre che il loro stato di salute, dipende profondamente dalla prossimità di quanti più familiari possibili, visto che la distribuzione dei ruoli è ampia e variegata (Häberlein, 2015). Tuttavia, in particolare a causa della migrazione regionale verso il sud, la famiglia non vive spesso nelle vicinanze e se il membro designato nel sistema di classi d’età non riesce ad adempiere al proprio ruolo nel lavoro di cura nei confronti dell’anziano, il “contratto intergenerazionale” (Häberlein, 2015), teoricamente vincolante, può dissolversi. Malgrado i rapporti familiari siano normati dall’idea di reciprocità intergenerazionale e i componenti ci facciano affidamento, la cura durante l’invecchiamento non è mai garantita, come nel caso illustrato da Häberlein. Infatti
«la cura è un'espressione molto reale del kin-work, che crea legami più stretti all'interno delle svariate relazioni intergenerazionali. Tutti i parenti biologici o sociali, tuttavia, devono riaffermare i loro legami familiari prendendosi cura l'uno dell'altro. Laddove questa connessione attraverso la cura fallisce, il processo individuale di dekinning può iniziare e gli obblighi relativi alle relazioni intergenerazionali possono ridursi o addirittura finire» (Häberlein, 2015, p.175).
Un altro interessante caso etnografico è quello dei assistenti domestici ghanesi negli Stati Uniti studiati da Cati Coe (2017) nel quale le famiglie non riescono a prendersi cura di questi ultimi (a loro volta anziani) a causa della precaria condizione lavorativa e questo, insieme ad altri elementi storici e culturali, come l’idealizzazione del rispetto per gli anziani, costruisce la convinzione che in Ghana gli anziani ricevano una cura migliore, che a sua volta incoraggia una migrazione di ritorno dopo il pensionamento (differito per avere maggior capitale economico e sociale al ritorno). L’esperienza combinata a valori culturali norma precisi segmenti temporali della propria vita: in questo caso gli Stati Uniti sono visti come mero luogo di lavoro, mentre il Ghana diventa un luogo che i ghanesi emigrati negli Stati Uniti intendono come una comunità di pensionati (Coe, 2017). La nazionalizzazione di particolari periodi della vita (Stati Uniti - lavoro / Ghana - pensione) può portare, se non alla completa sospensione della costruzione di una rete sociale nel paese che viene vissuto come “provvisorio”, a una sua riduzione e dunque a un relativo isolamento. Inoltre la marginalizzazione (forzata) del ruolo della reciprocità intergenerazionale, in quanto la condizione di lavoratore migrante negli Stati Uniti rende le persone all’interno della rete familiare molto spesso indisponibili al lavoro di cura non retribuito, sia per mancanza di risorse economiche che di tempo libero.
Questi due casi etnografici ci aiutano a chiarire la condizione in cui, anche quando tutti facciano riferimento alle stesse norme e ci sia la volontà di seguirle, non può esserci la certezza di riuscire ad adempiere alla reciprocità intergenerazionale, in particolare in situazioni in cui le asimmetrie strutturali facciano sentire tutto il loro peso.
Jacopo Favi
Bibliografia
Bryceson, D. & Vuorela, U., (2002), The Transnational Family New European Frontiers and Global Networks, Berg, Oxford.
Coe, C., (2017), «Returning Home: The Retirement Strategies of Aging Ghanaian Care Workers», in Dossa P. & Coe C. (a cura di), Transnational Aging and Reconfigurations of Kin Work, Rutgers University Press, New Brunswick.
Drotbohm, H. & Alber, E., (2015), «Introduction», in Drotbohm H. & Alber E. (a cura di), Anthropological Perspectives on Care. Work, Kinship and the Life-Course, Palgrave MacMillan, New York.
Finch, J. & Mason, J., (1993), Negotiating family responsibilities, Routledge, New York.
Häberlein, T., (2015), «Intergenerational Entanglements - Insights into Perceptions of Care for the Elderly and Life-Courses in Northern Togo», in Drotbohm H. & Alber E. (a cura di), Anthropological Perspectives on Care. Work, Kinship and the Life-Course, Palgrave MacMillan, New York.