L’antropologo impegnato in un lavoro d’archivio sulla storia della violenza politica in Guinea deve prepararsi a fronteggiare tre importanti sfide: il lavoro d’archivio, la storia della violenza politica, la Guinea.
Le scienze sociali riflettono criticamente sull’istituzione stessa dell’archivio. La critica postmodernista ha dimostrato come l’archiviabilità selettiva dei documenti, e la loro significativa esclusione, sia frutto di processi articolati ai quali più fattori concorrono. Le mancanze in archivio sono sempre significative: ‘’This paucity can be a consequence of various factors: underfunding, opaque or unsystematic modes of governance, deliberate practices of censorship and destruction, or the fear of leaving traces that could be used as case material in future claims or litigation’ (Levin & Pforr, 1962, 16). L’archivio è anzitutto un prodotto dello stato in un’epoca storica, necessita di decostruzione: Achille Mbembe va oltre:
‘’the archive is primarily the product of a judgement, the result of the exercise of a specific power and authority, which involves placing certain documents in an archive at the same time as others are discarded. (…) the granting of a privileged status to certain written documents, and the refusal of that same status to others, thereby judged 'unarchivable'‘’ (Mbembe, 2002, 20).
Risultato di precise interazioni fra precisi soggetti, l’archivio non è una neutra fonte di verità: privo d’univocità, coerenza, completezza, oggettività, ordine, è un prodotto della storia più che una sua sorgente (Tough, 2009, 187-188. Della Misericordia, 2009, 155-168). E di quella storia mostra le cicatrici, più spesso le ferite aperte.
Fig. 1 - Moussa Soumah tiene fra le mani il Livre blanc de l'opération Mar Verde, 22 novembre
1970, a Conakry. © Carole Valade/RFI ( https://www.rfi.fr/fr/afrique/20201122-guin%C3%A9e-il-y-a-cinquante-ans-mar-verde-l-attaque-portugaise-sur-conakry )
Se ovunque nel mondo l’archivio parla, e parlando ‘’mente’’, in Africa Occidentale questa fonte è, se possibile, ancor più insidiosa per l’antropologo. Pur nella profonda eterogeneità della realtà continentale nella sua costante evoluzione, simili problemi logistici complicano la ricerca in molti archivi post-coloniali: malfunzionamento di sistemi d’archiviazione, assente sistematicità, diffusa inconsapevolezza sulla sua importanza, legislazione confusa o datata, scarsi fondi in stati semifalliti, classificazioni datate, personale non formato, infrastrutture inadeguate, scarsa sicurezza, smarrimenti e irreperibilità per cause non fraudolente (Nengomasha, 2013, 2-4. Mnjama, 2005, 458-459). Ma a questo si aggiungono reticenze e sparizioni intenzionali frutto di scelte politiche di regimi talvolta dissoltisi, ma con profondi legami con l’attuale contesto neo-democratico: consapevoli occultamenti tesi a nascondere collusioni e responsabilità criminali (Daly, 2017, 312-316) incontrano contraffazioni e oblii legati ad esigenze di propaganda o repressione (Tough, 2009, 190-192).
Gli archivi in Guinea Conakry partecipano a questi problemi, e presentano in più sfide ulteriori legate al contesto storico-politico. Primo paese dell’impero a dichiararsi unilateralmente indipenende in conflitto con la Francia, nel 1958 è entrato in un regime autocratico comunista dal quale non sarebbe uscito che alla morte del suo leader Sekou Touré, 1984. I regimi militari che si sono avvicendati fino al 2010 in uno dei paesi più poveri del mondo, e quello attuale di ispirazione democratica, hanno continuato una storia di sanguinosa repressione e un profondo conflitto sociale cha non smette di lacerare comunità e famiglie.
Fig. 2 - Le impiccagioni del 25 gennaio 1971 a Conakry, da una foto d'epoca. KHP ( https://savoirs.rfi.fr/en/comprendre-enrichir/histoire/45-le-complot-de-la-cinquieme-colonne )
La ricostruzione di questa memoria attraverso l’archivio in passato per all’antropologo è stata impossibile, ma ancora oggi è difficile. Una pregiudiziale ostilità politica circonda ancora la ricerca, figlia di un regime ossessionato dal complotto come dall’antioccidentalismo: nel 1981 Martin Klein affermava: ‘’To the best of my knowledge I am only the second Western scholar to be admitted a titre privée since Guinea began opening up’’ (Klein, 334.), dove il titolo privato in corsivo allude a canali ben poco formalizzati. Similmente per la ricerca di campo: ‘’My predecessor had difficulty because she wanted to do field research. This meant that she had to be accompanied and it meant that surveillance was difficult’’. Gli archivi nella capitale, per esigenze di regime, erano comunque relativamente ben conservati. Pochi anni dopo, nel 1987, nonostante la morte del dittatore, Martin Ford descrive le stesse difficoltà burocratiche e un clima di sospetto:
‘’In the past, Guinee has been noted for restrictions regarding the presence of Western researchers. The atmosphere has improved but, even now, the paperwork that must be completed to get clearance is quite strictly, almost forbiddingly, stated. (…) the people administering these forms (…) do work within rather restrictive guidelines’’ (Ford, 382).
Gli anni ‘90 e ‘2000 sono quelli dell’alleggerimento: per David Conrad: ‘’There has been an effective movement afoot in the Republic of Guinea to improve the climate of study and research for local and foreign’’ (Conrad, 1993, 369). Ma sono anche quelli di distruzioni fisiche e involuzioni qualitative dei servizi per sommovimenti politici, incendi, chiusure, licenziamenti, riduzione di fondi imposti dal PAS del FMI (Counsel, 2009, 440). La ricerca di archivio è tuttora appesantita da procedure e difficoltà logistiche, come Romain Tiquet e Martin Mourre, ancora nel 2018, spiegano: ‘’Numerosi autori hanno tentato di avere accesso, senza successo’’ (RFI e FIDH, 2018, 7).
Fig. 3 - Celle di Camp Boiro, dove oppositori politici erano imprigionati sotto il regime di Sékou Touré (foto del 1986) AFP / DANIEL JANIN ( https://www.rfi.fr/fr/afrique/20210329-guin%C3%A9e-mort-d-abbas-bah-figure-de-l-exigence-de-justice-pour-les-victimes-du-camp-boiro )
Ma un secondo ordine di problemi specificamente guineano attende l’antropologo. Gli archivi, al netto dell’affidabilità, sono luoghi in cui si deposita la memoria collettiva di una nazione e il popolo guineano, ad oggi, non ne ha una perché privo di verità storica e giustizia. Le lacerazioni sociali di decenni di repressione non hanno provocato solo gli stessi occultamenti presenti in altri regimi (RFI e FIDH, 2018, 30-31. Straussberger, 2015, 303). Ciò che si è rotto in profondità è la fiducia dei cittadini verso lo stato e quella fra loro stessi: le memorie sono conservate privatamente a livello famigliare, in una chiusura gelosa, orgogliosa, quasi astiosa. La mancata condivisione dei documenti è un atto di resistenza politica, una rivendicazione del diritto al dolore e alla memoria dei propri cari vittime del regime all’epoca dei massacri: nessuno in Guinea deposita documenti presso istituzioni pubbliche, delle quali diffida pregiudizialmente. Sfiducia e diffidenza sono profonde verso stranieri e connazionali (RFI e FIDH, 2018, 8), dove memoria condivisa vuol dire contraffatta da un potere ostile.
L’antropologo, in un contesto così complesso, deve ricorrere ad altri strumenti. Se la digitalizzazione degli archivi - avanzata in alcuni paesi africani - potrebbe essere una soluzione, è chiaro che a fronte di manomissioni pubbliche e reticenze private la tecnologizzazione rischia d’offrire ancor più mezzi di contraffazione (Daly, 2017, 319). Quanto agli archivi coloniali in Francia, racchiudono una sterminata varietà di fonti la cui conoscenza è imprescindibile per la longue durée delle dinamiche conflittuali. È noto, tuttavia, che questo presenta problematiche d’altra natura: gli archivi coloniali erano organici ad un contesto di quasi inesistenza di troppi soggetti subalterni, invisibili perché oggetto di interesse limitato da parte dell’archivista (Tough, 2009, 188-189. Cunha & Rodgers, 2006, 4-6. Namhila, 2016, 115-120).
Soluzioni più promettenti sono quelle che tendono a cercare il materiale documentale laddove questo ha potuto sottrarsi a manomissioni. Anzitutto, archivi locali. Uno sforzo recente in Guinea è stato tentato da John Straussberger, che si è dedicato agli archivi nei capoluoghi di regioni interne, lontani dalla capitale: ricerca compiuta con rilevanti difficoltà, ma anche con sorprendenti risultati in archivi consistenti in ‘’one dark, windowless room, in which I found documents stacked in six to eight foot piles and caked in a half inch of the red dust that seems to cover everything (…)’’ (Straussberger, 2015, 302).
Fig. 4 - Il sinistro Camp Boiro sotto Sékou Touré | Crédit : Campboiro.org ( https://www.27avril.com/blog/actualites/ailleurs-en-afrique/guinee-camp-boiro-45-ans-apres-douleureux-souvenirs-familles-victimes )
La via maestra, e più complicata, è tuttavia quella di uscire dall’archivio istituzionale e integrarlo con ‘’l’altro archivio’’: sterminato, sussurrante, diffuso, chiuso in case, cassetti, bauli. La memoria viene tramandata nelle famiglie per mezzo di lettere, diari, fotografie, inutilizzabili nastri registrati, messaggi di persone scomparse nelle carceri o fuggite. Mentre il figlio o nipote di una vittima narra la dolorosa vicenda che gli è stata tramandata, passa lentamente in rassegna una alla volta le scolorite foto dei parenti, o legge ad alta voce alcune righe di lettere dai bordi friabili che tiene sulle ginocchia mentre parla: necessari segnalibri di una storia che senza non potrebbe essere raccontata. L’antropologo deve cercare tale fonte ibrida: non orale, perché supportata da un’ossatura documentale stabile; non scritta, perché muta se orfana della sua voce narrante. Fonte meticcia ed asistematica per natura, che si dissolve qualora si cerchi di categorizzarla rigidamente, essa mostra i pregi di entrambe le fonti da cui deriva. A differenza delle fonti orali, è stabile perché puntellata nei suoi punti deboli e meno sottoposta a manipolazioni; a differenza di quelle scritte, respira del contributo diretto del narratore, che sa di compiere un atto politico. Questo baricentro narrativo semi-stabile ringiovanisce la storia e permette un suo perpetuo rinnovo pur nella conservazione, conferendo al tempo la funzione di fertilizzante e moltiplicatore di significati.
La sfida è immane, il risultato comunque non garantito. “La vita in Guinea durante il tempo di Sékou Touré era orribile. (…) In questo tipo di situazione, il comportamento e la morale umana decadono. (…) Ci sono persone che hanno venduto lo zio o il padre per un pacchetto di sigarette. (...) Queste persone non vogliono testimoniare" (RFI e FIDH, 2018, 8). Lo scrittore Tierno Monenembo allude al fatto che spesso non si ha una memoria collettiva perché molti non sono ancora riusciti a riconciliarsi con quella privata, una polvere ben più pesante da rimuovere di quella rossa della savana.
La sfida per l’antropologo è conquistare la fiducia della persona che accetta di parlare, barattando l’informazione etnografica con un aiuto nel suo percorso individuale: va oltre l’archivio, oltre la storia, oltre la politica, e forse anche oltre l’antropologia.
Bibliografia
Conrad, D.C. (1993) ''Archival Research in Guinea-Conakry'', History in Africa, Cambridge University Press, Vol. 20, pp. 369-378.
Counsel G. (2009) ''Archival and Research Resources in Conakry, Guinea'', History in Africa, Cambridge University Press, Vol. 36, pp. 439-445.
Cunha O.M.G. & Rodgers, D. A. (2006). ''Imperfect tense: an ethnography of the archive''. Mana, 1(se).
Daly S. Fury Childs (2017), ''Archival research in Africa'', African Affairs, Volume 116, Issue 463, April 2017, pp. 311–320.
Della Misericordia, M. (2009) ''Mappe di Carte. Le Scritture e gli Archivi delle Comunità Rurali della Montagna Lombarda nel Basso Medioevo'', in A. Bartoli Langeli, A. Giorgi, S. Moscadelli (2009), Archivi e comunità tra medioevo ed età moderna, Università degli Studi di Trento.
Ford, M. (1987) ''A Note on the National Archives of Guinée in Conakry'', History in Africa, Vol. 14, Cambridge University Press, pp. 381-382
Klein, M. A. (1981) ''Report on Archives of the Popular and Revolutionary Republic of Guinea in Conakry'', History in Africa, Vol. 8, Cambridge University Press.
Levin, M. & Pforr, B. (1962) ''Ethnographic and Anthropological Materials as Historical Sources''. Arctic Anthropology, 1(1), 51-57. Retrieved April 17, 2021.
Mbembe, A. (2002) ''The Power of the Archive and its Limits''. In: Hamilton C., Harris V., Taylor J., Pickover M., Reid G., Saleh R. (eds) Refiguring the Archive. Springer, Dordrecht.
Mnjama, N. (2005) "Archival landscape in Eastern and Southern Africa", Library Management, Vol. 26 No. 8/9.
Namhila, E.N. (2016) ''Content and use of colonial archives: an under-researched issue''. Arch Sci 16, 111–123.
Nengomasha, C. T. (2013), ''The past, present and future of records and archives management in sub-Saharan Africa'', Journal of the South African Society of Archivists, Vol. 46.
RFI e FIDH (2018), ''Mémoire Collective, Une Histoire Plurielle des Violences Politiques en Guinée'', https://www.memoire-collective-guinee.org
Straussberger, J. (2015) ''Fractures and Fragments: Finding Postcolonial Histories of Guinea in Local Archives'', History in Africa, 43, p. 299-307.
Tough, A.G. (2009) ''Archives in sub-Saharan Africa half a century after independence''. Arch Sci 9, 187–201.
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