Perché la ricerca nel campo dell’arte contemporanea è importante per l’antropologia? È questa la domanda sulla quale Thomas Fillitz, antropologo dell’Università di Vienna, ci ha invitato a riflettere nel corso del suo seminario tenutosi presso il dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale il 30 novembre.
Thomas Fillitz si occupa da qualche anno dello studio dell’arte contemporanea in Africa occidentale, in particolare a Dakar.
Fillitz cerca di riportare l’attenzione su un campo di ricerca che è stato oggetto di critica, in quanto si accusa l’antropologia dell’arte di non aver contribuito alle grandi teorie della storia dell’antropologia. Tuttavia, oggi gli studi sull’arte non costituiscono più un area marginale all’interno del sapere antropologico.
A partire dagli anni Novanta si sono affermate diverse teorie riguardanti il rapporto tra antropologia e arte.
Coote e Shelton in "Anthropology, Art and Aesthetics" (1992), affermano che con l’analisi di oggetti appartenenti alla cultura materiale si possono comprendere valori sociali che è difficile acquisire in altri modi.
L’arte non è solo da guardare, anche se quando noi guardiamo stiamo già facendo qualcosa. Art is about doing. Questo è il pensiero esposto da Gell in "Art and Agency" (1998). Egli si concentra sull’importanza dell’arte nel kula studiato da Malinowski, in particolare sulle decorazioni che adornano le canoe. Il lavoro dell’artista è accompagnato da un rituale, acquistando così un potere magico. Secondo i due autori, il lavoro dell’artista è di estrema importanza nel momento in cui la canoa, avvicinandosi alla costa, si mostra in tutto il suo splendore permettendo al proprietario di ricevere i migliori pezzi del kula. I lavori di grande qualità mostrano tutto il loro potere magico e di riflesso mostrano il potere del padrone della canoa, il quale eclissa l’artista. Tuttavia, quest’ultimo ha il merito di avere creato un oggetto materiale che diventa un mediatore nella relazione sociale.
Decorazione della prua di una canoa utilizzata durante il kula |
Ci sono artisti come Lothar Baumgarten che hanno fatto esperienze antropologiche. Alcuni artisti hanno smesso di creare oggetti d’arte e la loro opera consiste nel collaborare con le popolazioni locali intessendo delle relazioni sociali. Queste esperienze fanno riflettere sulle potenzialità che il mezzo artistico potrebbe avere per noi antropologi.
L’antropologia dell’arte, secondo Fillitz, non solo ci permette di creare uno spazio di riflessione con artisti e curatori per poter gettare uno sguardo oltre, ma ci aiuta a domandarci: che cosa possiamo imparare noi antropologi dal lavoro degli artisti? Oltre all’etnografia, esistono altre possibilità per comunicare ciò che l’antropologo raccoglie durante il suo lavoro?
Oltre a questo, vi è la possibilità, secondo Fillitz, di trovare una connessione tra il mondo dell’arte e alcune teorie antropologiche. È il caso dell’aspirazione, come capacità culturale, descritta da Appadurai; in quanto, nell’arte si trova una visione del futuro e spesso alcune opere d’arte sono sintomo di cambiamento sociale. Anche il concetto di imminenza utilizzato da Canclini può essere associato all’arte, poiché questa esprime qualcosa che potrebbe succedere, oppure può proporre visioni di un altro mondo.
Proprio queste idee stanno alla base delle opere dell’artista ivoriana Mathilde Moro, incontrata da Thomas Fillitz durante il lavoro sul campo. La questione principale sollevata dai suoi quadri è quella sul futuro. Quale vita è possibile oltre a quella che viviamo? Inoltre, Mathilde Moro cerca di trasmettere l’indifferenza della società. È interessata alle emozioni che le persone provano quando perdono tutto e cerca di riportare queste sensazioni nei suoi quadri.
Un quadro di Mathilde Moro |
Fillitz ha concluso il seminario affermando l’importanza dello studio delle dinamiche che coinvolgono gli artisti e le loro opere, soprattutto in una visione locale, soffermandosi sui problemi più sentiti dagli artisti appartenenti a piccole comunità.
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