Seminario a cura di Alice Sophie Sarcinelli,
École des Hautes Études en Sciences Sociales, EHESS.
Institut de recherche interdisciplinaire sur les enjeux sociaux- Sciences Sociales, Politique, Santé (IRIS).
Alice Sophie Sarcinelli si forma a Parigi, conseguendo il Dottorato di Ricerca in Antropologia nel 2011. Allieva di Didier Fassin,
nel suo percorso accademico indaga il tema dell’infanzia in diversi
contesti attraverso uno sguardo particolare, che intreccia Antropologia
dell’Infanzia, Antropologia Politica e Morale andando alla ricerca di
una metodologia che riesca a fondere l’etnografia e la sfera più intima e
personale degli interlocutori.
Il tema dell’infanzia, o meglio dei
diversi universi morali che soggiaciono alle differenti interpretazioni
che si danno a questo particolare momento storico degli individui,
interrogano le società su cosa sia giusto/bene/buono per i bambini,
andando a mettere in campo una serie di azioni politiche e giuridiche
che interessano questa particolare categoria.
Uno dei temi che
l’antropologa affronta è il capovolgimento di una metodologia che,
all’interno del campo di studi sull’infanzia, ha tradizionalmente inteso
i bambini come oggetti, piuttosto che come attori attivi all’interno
del contesto giuridico e sociale in cui si muovono.
I presupposti di partenza mirano, dal punto di vista metodologico e teorico ad integrare il punto di vista del bambino1
intendendolo un attore tra gli altri, non avulso dal contesto
parentale: ai bambini vengono certamente riconosciute caratteristiche
specifiche ma pur sempre in relazione dialettica con le altre figure che
abitano il suo spazio.
Intendendo le configurazioni famigliari
omogenitoriali come prodotto storico e pertanto (come le relazioni di
parentela in generale) soggette a differenti interpretazioni a seconda
dei luoghi e del tempo, Sarcinelli indaga le composizioni della coppia,
le strategie riproduttive, la creazione di legami di parentela, la vita
quotidiana, l’equilibrio di genere, i rapporti di potere all’interno dei
contesti italiano e belga, intraprendendo così un progetto di ricerca
di analisi comparata in due “universi” legali antitetici. Da una parte
la legislazione italiana, considerata estremamente restrittiva nei
confronti delle unioni civili e dei rapporti di riproduzione ad esso
collegata, dall’altra il contesto belga, considerato uno dei modelli
europei più progressista in questo senso.
Il fil rouge che
accompagna la ricercatrice risiede nell’analisi dei processi di
riconoscimento giuridico e sociale di queste famiglie (e delle relazioni
di parentela ad esso correlate) da parte dello Stato e sull’impatto che
questi fenomeni hanno sulla vita dei membri delle famiglie stesse. La
ricerca mira infatti a trovare un punto di incontro tra livelli che
sembrano non incontrarsi, quello personale, privato, intimo, che ruota
attorno alle esperienze quotidiane dei bambini in contesti famigliari
omogenitoriali e mondo politico e giuridico.
Infanzia, famiglia,
genitorialità, genere, riproduzione e parentela sono macro temi che
investono di significato l’esperienza omogenitoriale, che spesso viene
relegata ai margini del discorso pubblico, percepita come realtà
distorta e “disordinata”. Anzi, ancor di più in questi casi, dove
l’apparato amministrativo tende a non riconoscere i diritti alle coppie
di genitori omosessuali, vi è una presa di coscienza dell’importanza
della validazione legale del rapporto di genitorialità, ancor prima che
sociale.
La ricerca etnografica, fino ad ora svolta in Italia, ha
messo in luce come nonostante la legislazione molto restrittiva in
materia di diritti civili e riproduttivi, le coppie omogenitoriali siano
in continuo aumento e siano sempre più presenti nel panorama della
società civile nazionale grazie alla costituzione e diffusione sul
territorio di Associazioni che
aiutano le famiglie nell’affrontare le diverse sfide legali e sociali
che vi si presentano. A dispetto della severità del diritto nazionale in
materia, per avere un bambino le coppie mettono in campo strategie
alternative in grado di travalicare le imposizioni legali:
auto-inseminazione, co-genitorialità tra coppie omosessuali di genere
diverso oppure soggiorni all’estero dove il diritto consente di accedere
alla riproduzione medicalmente assistita.
La mancanza di una
definizione chiara ed omogenea di cosa sia “famiglia” all’interno del
diritto italiano, rende infatti possibile per le coppie omosessuali
muoversi negli interstizi legislativi aperti nel sistema. Il termine
“famiglia” infatti assume un carattere eterogeneo e contraddittorio e le
sue molteplici definizioni, presenti a più livelli nel sistema
giurisdizionale (a partire dalla Costituzione, fino ad arrivare ai gradi
più elevati delle Corti di Cassazione presenti sul territorio),
lasciano margini agli individui per mettere in campo il proprio capitale
sociale ed economico per “andare oltre la norma” e portare a termine il
progetto di genitorialità. La ricerca mette in luce una questione che
sta alla base della discrasia tra essere genitore e non esserlo (al
tempo stesso) ossia il riconoscimento da parte dello Stato del legame di
parentela di entrambi gli individui alla base del progetto famigliare
ed i loro figli.
Vengono quindi messe in campo, per dirla con De Certau, delle tattiche per diventare parente (kin) del bambino che è loro figlio2.
Per essere riconosciuti come genitori, la coppia deve “soddisfare”
caratteristiche soggettive e oggettive; queste ultime comprendono tutto
quell’insieme di pratiche burocratiche che consentono l’accesso del
minore ai servizi per l’infanzia.
Anche dal punto di vista
simbolico, si attuano delle strategie per affermare la propria
genitorialità (anche quando a livello giuridico non lo si è), ad esempio
dando il secondo nome della madre o del padre “sociale” al proprio
figlio, mentre la madre/padre biologico trasmette alla discendenza il
proprio cognome. Oltre a questo esempio, secondo l’esperienza
dell’Antropologa, è nel tentativo di dare corpo ad un riconoscimento
giuridico più solido e strutturato che emergono le differenze più acute
di capitale economico, sociale e culturale: si parla in questi casi di
vere e proprie “battaglie” legali, spesso molto lunghe e dispendiose,
sia dal punto di vista materiale che temporale, che hanno come
obbiettivo quello del raggiungimento di un livello di riconoscimento di
genitorialità che passa attraverso l’adozione o la forma del “tutorato a
vita” del bambino.
Indagando l’ambiente intimo delle famiglie
omogenitoriali, a discapito di un vissuto quotidiano “banale” per dirla
con Sarcinelli, sovente viene a galla, da parte della madre sociale del
bambino (quand’anche questa è riuscita in un difficile processo di
riconoscimento oggettivo della propria genitorialità), la sensazione di
“stare mentendo” quando viene ribadito il rapporto di filiazione con il
bambino. A partire da questa situazione di fragilità emersa
dall’etnografia, l’autrice riflette sui processi di de-kinning, ossia
quell’insieme di cause circostanziali che portano alla perdita dei
legami parentali, giuridici o sociali che essi siano.
Analizzando
quelle che sono le cause soggettive di questo processo, è emerso come
la costruzione di questa relazione di parentela dipenda dal fatto che il
genitore che all’interno della coppia gode del riconoscimento giuridico
e biogenetico è quello che permette che l’altro componente sia
anch’esso genitore, in una relazione di potere a vantaggio del primo sul
secondo. In questa fragilità strutturale, nel contesto italiano il
genitore sociale può, a discrezione del genitore giuridico/biologico,
perdere quel rapporto di parentela costruito nel tempo con il proprio
bambino. L’esperienza etnografica di Sarcinelli ci ha dimostrato,
attraverso la presentazione di numerosi casi etnografici, come il ruolo
della biogenetica venga manipolato all’interno della coppia per
instaurare delle relazioni di potere e di competizione che possono
arrivare in alcuni casi alla spoliazione dei (non) diritti del partner
sociale.
Dal punto di vista emico, sembra che il genitore
biolocico/giuridico si senta “più” genitore rispetto al partner e che
questo sentimento, in determinate circostanze di difficoltà, venga
trasferito ai figli. Nonostante sia chiaro come i legami di parentela
subiscano un processo di costruzione storico e culturale, la ricerca
tende a sottolineare come nelle famiglie omogenitoriali si combinino
diversi dispositivi atti a creare, ricreare, maneggiare o dissolvere i
rapporti di parentela.
La mancanza di tutela dei diritti delle
coppie omogenitoriali in Italia rappresenta quindi la condizione di
possibilità che uno dei due genitori possa cessare di esserlo da un
giorno all’altro.
Dal punto di vista dei bambini, l’esempio
etnografico proposto dall’autrice ci mostra come essi siano parte
integrante delle relazioni di potere messi in gioco dai genitori e come
anch’essi vivano la categorizzazione biogenetica/sociale come un
confronto impari, dove l’istanza biologica risulta preponderante
nell’interpretazione della relazione di genitorialità (“più mamma
dell’altra perché nella pancia la voce arriva diversamente”, “mamma
naturale”, “quella che ti ha fatto”).
In conclusione, all’interno
della traiettoria etnografica si intrecciano diverse questioni nella
definizione di parentela nella famiglie omogenitoriali: non solo
l’essere legato dal vincolo giuridico statale ma tutto il contesto è
attraversato da caratteristiche soggettive e logiche di potere
all’interno della famiglia stessa, arrivando a strumentalizzare il ruolo
della biogenetica per una riaffermazione del diritto genitoriale sui
propri figli. La combinazione di aspettative, sentimenti, norme, doveri
morali si materializzano in queste famiglie come in qualsiasi altra
tipologia di relazione parentale ma la specificità di questi casi di
genitorialità omosessuale ci permette di riflettere su alcuni assunti
fondamentali che questi esempi ci permettono di mettere a critica.
Sembra
quindi, come asserito da alcuni autori e avvalorato dall’esperienza di
campo, non essere né il matrimonio, né l’amore, né la legge che crea la
famiglia bensì una combinazione di questi fattori, oltre che l’elemento
temporale che contribuisce giorno dopo giorno, esperienza dopo
esperienza a modellare le dinamiche interne famigliari.
1 Utilizzo il termine “bambino” non volendo con questo darvi una caratteristica di genere bensì in termini neutri.
2 Vedi nota n.1
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