Massimo Giuseppe Della Misericordia è professore associato presso l’università di Milano-Bicocca, dipartimento Scienze Umane per la Formazione “R. Massa”, dove insegna Storia e Didattica della Storia. Le sue ricerche storiche si sono concentrate sulle Alpi lombarde durante il Rinascimento. Da tempo collabora con la Società Storica Valtellinese.
Questo è quello che egoisticamente
conserverò del seminario di Massimo Della Misericordia dal titolo “Storici
lettori di antropologi. Nuove prospettive sulla genesi della statualità europea
fra medioevo ed età moderna”, organizzato all'interno del programma di
formazione dei dottorandi di antropologia di Bicocca (DACS).
Ironia della sorte, accade proprio
in un seminario in cui il professor Della Misericordia ha ribadito l’importanza
della lettura interdisciplinare, ricostruendo un momento di grande fertilità
nato proprio dall'incontro tra storiografia e antropologia, nel
contesto della tradizione della micro-storia. Durante gli anni ‘70, la lettura
dei classici antropologici avrebbe portato alcuni storici ad allontanarsi dai
temi classici della storiografia generale per concentrarsi sullo studio attento
e intensivo di dinamiche locali, con grande attenzione alle piccole
negoziazioni quotidiane tra detentori e soggetti del potere, alle economie
sommerse e ai processi simbolici e interpretativi. Questi studi circoscritti
sono stati in grado di illuminare nuove prospettive con cui guardare ai flussi
riconosciuti della grande storia, come la nascita degli stati etno-nazionali.
L’analisi dei rapporti tra i centri del potere e le zone più marginali dei loro
stessi domini ha messo in luce la natura fittizia della grande narrazione degli
stati moderni, mostrando come sia sempre stati costretti a scendere a patti e
negoziare con altri sistemi di organizzazione, devolvere il monopolio della
forza e della giustizia e adattare le pratiche del potere agli usi dei soggetti
coinvolti. In generale, l’idea di stato così come era stata costruita da una
certa tradizione storiografica è stata decostruita perché analiticamente poco
redditizia.
In questo contesto, Della
Misericordia ha esposto le sue ricerche riguardo la creazione di uno specifico
discorso di alterità culturale delle valli alpine durante il rinascimento. La
sua analisi della corrispondenza tra gli emissari degli Sforza in Valtellina e
Milano, ricostruisce il discorso che gli esponenti del potere di pianura
producevano riguardo gli abitanti di quelle aree “silvestri”. Essa segnala
anche un momento di rottura nella rappresentazione dell’altro alpino, che
coincide con il passaggio da un sistema di potere di tipo comunale a quello dei
proto-stati dell’Italia moderna. Quello di cui parla Della Misericordia è un
discorso politico, che si fonda proprio sull'incomprensione reciproca e sulla
competizione tra due diversi sistemi di gestione del potere, la piramide
altamente gerarchizzata delle signorie medievali di contro alla collegialità orizzontale delle famiglie e delle fazioni in cui si organizzavano le
vallate. In quegli anni, infatti, si istituivano nuovi paradigmi del potere
politico, meno standardizzati di quelli del comune medievale e con una maggiore
attenzione verso le forme di potere locale. Queste nuove pratiche di governo,
unite a una nuova circolazione culturale che favoriva l’interesse per il
diverso e per l’esotico, generò un nuovo discorso riguardo gli uomini che si
trovavano alle periferie degli stati nascenti. In termini culturali, questa
svolta si costituisce con il passaggio dalla “satira del villano”, un set di
stereotipi letterari che rappresentavano il contadino come un uomo sporco,
rozzo e repellente, verso una rappresentazione dello stesso più organica che
istituiva una relazione tra l’ambiente naturale e il tipo umano che lo abitava.
Così, la differenza culturale veniva naturalizzata, creando due tipi umani
differenti, il cittadino urbano e civilizzato opposto al “ferino” abitante dei villaggi
in quota. Una rappresentazione che è stata poi appropriata dagli stessi "montanari", con schemi che potremmo definire tipici delle situazioni di
subalternità. Questa, infatti, è stata da una parte risemantizzata in senso
positivo, diventando sinonimo di indomita libertà opposta alle pecore dei
pascoli di bassa quota, dall'altra è stata riprodotta internamente tra gli
abitanti del fondovalle e quelli delle zone più remote.
Questa proiezione sull'altro di
caratteristiche bestiali, oltre a sottolineare l’estraneità e il disgusto dei
nobili rappresentanti del potere rispetto al contesto in cui si trovavano ad
operare, giustificava anche la richiesta di strumenti più decisi per l'esercizio della forza. Richieste che, a onor del vero, Milano
fu sempre restia a concedere, mostrando ancora una volta la fragilità di un
modello di potere che si vorrebbe centralizzato ma che è costretto a rinunciare a
parte del proprio potere in favore degli organismi già presenti sul territorio.
Personalmente, non ho potuto fare
a meno di notare come alcuni delle immagini sulla costruzione dell’altro nei
termini di arretrato, lontano o rozzo contadinotto, siano ancora presenti nei
discorsi del mio campo cipriota. Anche lì, seppure in contesti molto lontani e diversi,
la rappresentazione dell’altro si intreccia con la più ampia dimensione
culturale del contesto e sostiene il realizzarsi di un preciso progetto
politico e culturale. Questo mi spinge a interrogarmi sulla relazione che
rappresentazioni di città e rappresentazioni della ruralità giocano nella
legittimazione di un sistema politico che si vuole fortemente “urbano”, come
quello dell’Unione Europea, nelle sue periferie.
L’intervento di Della
Misericordia, più in generale, sprona noi antropologi a riflettere sulla lunga
durata di alcune delle dinamiche culturali che ci troviamo ad analizzare in
contesti specifici e puntuali. Ci esorta a trovare un modo per selezionare
quali aspetti del passato siano influenti nelle dinamiche presenti, in modo
comprendere i soggetti che incontriamo, con le loro idiosincrasie e le loro
specificità, come attori protagonisti di processi più ampi e lunghi di quello
che l’etnografia da sola sia in grado di indagare.