L’incontro su antropologia e mondo del lavoro, tenutosi il 21 febbraio, si è concentrato su due focus principali: l’antropologo come profilo professionale nel «mondo esterno» all’Accademia e le possibilità lavorative contemporanee per i laureati e gli addottorati in antropologia. Il primo è stato approfondito con l’aiuto di Ivan Severi presidente di Anpia, l’Associazione Nazionale Professionale Italiana di Antropologia mentre il secondo, in cui la disciplina è indagata come propedeutica ad alcune carriere professionali, è stata analizzato con l’aiuto di Valentina Mutti e Massimiliano Reggi, dottori di ricerca al DACS e oggi professionisti nel campo della cooperazione e nel settore educativo.

Valentina Mutti ha esperienza di ricerca sulle migrazioni, di progettazione e di valutazione del monitoraggio di progetti con committenze diverse da operatore esterno. Il suo intervento si è soffermato soprattutto su cosa significhi avere una committenza nella libera professione specialmente in funzione della specificità dei tempi di lavoro, del metodo (se il protocollo di ricerca è preesistente o si ha capacità negoziale) e su cosa significhi lavorare in équipe. A questo si aggiunge la necessità di padroneggiare le strategie, le logiche e il linguaggio delle istituzioni con cui si lavora e la molteplicità di canali di accesso. Per queste professioni, progettazione e valutazione in campo cooperativo, non esiste una sistematizzazione in grado di indicare tariffe e tempistiche a chi si propone da libero professionista poiché risultano assoggettate alla struttura progetto/bando spesso preesistente. Mutti suggerisce una spinta propositiva mossa da «un’umiltà di fondo» nell’accettare incarichi che potrebbero differire dall’antropologia propriamente detta, ma per i quali la disciplina è vista come «valore aggiunto» da chi li conferisce. Si riscontra dalle sue parole un’esperienza pregressa per la quale il dottorato in antropologia tenda a non vedere in queste aree sbocchi carrieristici (che restano comunque governati dallo zelo individuale secondo le testimonianze) considerandoli non un proseguimento naturale degli studi dunque, ma una sorta di ripiego in settori in cui la laurea pare più spendibile (sempre con l’aggiunta degli obbligatori approfondimenti teorici di varia natura in cooperazione o progettazione).
Massimiliano Reggi, che viene da una formazione plurale su informatica, psicologia e etnopsichiatria, è attivo nel settore della cooperazione attraverso una Ong a cui è giunto tramite i canali classici del mondo del lavoro e che ha creduto nel suo potenziale. Il suo intervento ha insistito sulla necessità di preparare al meglio le autocandidature o candidature in risposta. La buona dose di fortuna che non manca in nessun inserimento lavorativo, deve infatti essere supportata da un impegno nella presentazione di sé stessi («tirare fuori quello che non si può leggere in un cv») in modo che nel marasma dei candidati si possa spiccare per personalità o percorso di studi valorizzando le competenze acquisite durante il dottorato di antropologia, anche qualora il requisito sia solo una «sensibilità antropologica» e non di più. È interessante lo sprone a «intercettare spazi vuoti, il bisogno di ricerca in settori in cui non è stata sviluppata», ma non se ne chiariscano le modalità perché interamente a carico dell'iniziativa individuale.

Ci lasciamo inoltre con un forte gap rispetto all’organizzazione dell’antropologia professionale all’estero su cui potremmo decidere di soffermarci in seno al dottorato.
Nella miriade di suggestioni offerte da un incontro su antropologia e lavoro, in un paese in cui non si può nemmeno insegnare antropologia in quei licei dove la disciplina è presente perché chi la insegna non è tenuto ad essere un antropologo, personalmente non ho fatto altro che pensare tutto il tempo ai taccuini di De Martino sulla ricerca in Lucania con le dettagliate note spesa per la Camera del Lavoro, tra i committenti della ricerca, e la lista di contributi istituzionali e privati con cifra a fronte. La sensazione è che si possa comunque cominciare da qualcosa che in fondo in Italia già si faceva e si è fatto con enorme successo e rimesse sia per l’Accademia che per il mondo esterno, dovunque esso sia.
De Martino E. (1995). Note di campo. Spedizione in Lucania, 30 Sett.-31 Ott. 1952. Gallini C. (a cura di). Lecce: Argo.
Nessun commento:
Posta un commento