Le due giornate di studi sul Femminismo in Antropologia - organizzate all’interno del ciclo seminariale del DACS con la formula di due seminari a cura di Alessandra Brivio e Claudia Mattalucci - hanno voluto riflettere sull’adozione di un approccio femminista nella pratica etnografica. Un contributo che è stato spesso ridotto alla stregua di un orientamento funzionale ad un impegno politico che tuttavia nulla ha lasciato sul piano euristico. A partire dalla ricostruzione di queste due giornate di studi si vuole riflettere sul senso di tale approccio, considerandone anche limiti e criticità. Soprattutto, l’intento è quello di sottolineare come l’antropologia femminista abbia stimolato profonde riflessioni su nozioni estremamente significative per lo sviluppo dell’apparato teorico della disciplina – nonché delle Scienze Sociali per esteso – come il corpo, il genere, la cura, l’affettività, la soggettività, la comunità, il potere.
Come ha ricordato Mattalucci, l’antropologia femminista presenta all’interno numerose differenze. Nata sulla scia del movimento femminista della seconda ondata, emerso negli Stati Uniti negli anni’70 e diffusosi in Europa, l’antropologia femminista ha avuto destini differenti a seconda dei contesti in cui si è sviluppata. In Italia è stato predominante il cosiddetto femminismo della differenza, interessato all’indagine delle differenze sostanziali fra uomo e donna piuttosto che allo studio del genere come categoria che costruisce e articola socialmente tali rapporti e differenze, come in Gran Bretagna. L’antropologia femminista ha dato voce ad un sentimento di insoddisfazione verso il corpo “neutro”, “asessuato” che gli studi sull’incorporazione avevano eletto strumento conoscitivo primario per indagare il rapporto mutualmente costitutivo fra soggetto e mondo (Mascia-Lee 2016). In questo senso, Strathern (1987) ricorda come sia proprio sul terreno del corpo, e della distinzione fra soggettività ed oggettività per esteso, che si gioca gran parte della relazione problematica fra antropologia e femminismo. A tal proposito, Alessandra Brivio ha riportato l’esperienza di una serie di ricerche condotte sulla memoria rituale della schiavitù. Il punto di vista dominante degli uomini del luogo era che una donna non avrebbe mai potuto guadagnare la fiducia delle gerarchie religiose necessaria a capire l’essenza delle pratiche vodoo. Brivio racconta come proprio la consapevolezza di avere una prospettiva marginale (Abu-Lughod 1990) sulla vicenda sia stata per lei un vantaggio nel condurre le proprie ricerche, dato che l’ha aiutata a comprendere che la verità assoluta di una pratica che si definisce “inconoscibile” per sua stessa natura le sarebbe stata negata.
Abu-Lughood (1990) sottolinea la necessità di ridare dignità e valore ad un altro aspetto a cui l’antropologia femminista ha apportato un contributo fondamentale: la scrittura etnografica. Il più grande limite di Writing Culture: the Poetics and Politics of Ethnography (Clifford; Marcus 1986) è stato proprio quello di aver cancellato i modi in cui approcci femministi hanno contribuito alla sperimentazione di forme alternative di scrittura, che spesso si è realizzata più sul piano della rappresentazione politica che della poetica, riportando voci ed esperienze di soggetti spesso marginali all’interno della produzione etnografica (Abu-Lughood 1990: 16). Questo senso di insoddisfazione è stato alla base del testo che muove contro le stesse strutture gerarchiche ed egemoniche che informano, in modo solo apparentemente paradossale e contradditorio, la stessa opera di Clifford e Marcus: Women Writing Culture di Deborah Gordon e Ruth Behar (1994). E proprio la stessa Behar è stata citata più volte nel corso delle giornate di studio a proposito del suo Vulnerable Obsverver. Anthropology that breaks your heart (1997), e delle questioni che solleva: in che modo porsi di fronte alla propria fragilità e vulnerabilità di osservatore? Cosa fare delle proprie emozioni e di quelle altrui in situazioni emotivamente cariche e come riuscire a raccontarle? Mattalucci riporta le difficoltà incontrate nel provare a restituire l’immagine delle emozioni provate in alcuni gruppi di aiuto sui lutti perinatali a cui ha assistito, riuscendo a guadagnare la fiducia e la confidenza di tutti i membri. Una fiducia che ha rischiato di venir meno nel momento in cui le è stato chiesto di riportare i nomi veri nella scrittura finale, che in quei contesti sono particolarmente importanti.
Come accennato all’inizio, l’antropologia femminista racchiude al suo interno tensioni e divisioni profonde. Le rivendicazioni sorte rispetto alla figura predominante di donna “bianca, upper-middle class" hanno posto l’accento su soggetti come le donne nere, che hanno vissuto una doppia esclusione sia all’interno del movimento femminista sia di quello nero (Creenshaw 1991). Tali dibattiti e agitazioni sono stato alla base dello sviluppo della nozione di “intersezionalità”, che guarda alle relazioni mutualmente costitutive fra genere, razza e classe come categorie socialmente e culturalmente informate articolanti rapporti di dominazione ed esclusione (Nash 2008). Quella della presenza di immagini e visioni dominanti dell’essere donna all’interno del movimento femminista è una questione tutt’altro che risolta, e lo dimostra la recente pubblicazione del pamphlet Femminismo per il 99%. Un manifesto (Arruzza; Bhattacharya; Fraser 2019). Nell’introduzione (Arruzza; Bhattacharya; Fraser 2019: 3-9) le tre autrici si schierano proprio contro ciò che considerano una visione liberale della classe dominante che vuole le donne protagoniste all’interno del sistema capitalista al pari degli uomini, muovendo in favore di un femminismo marxista, critico verso l’attuale sistema economico-politico. Mentre l’ intersezionalità ha rivestito un ruolo importante nel dibattito teorico sul rapporto a tratti conflittuale fra forme di identità individuali e collettive, la questione politica della scarsa rappresentanza delle minoranze all’interno degli studi – come quella dei gruppi “latinos” - ha spesso prodotto il risultato opposto di reificare la costruzione culturale di tali categorie ed identità (Brah, Phoenix 2004; Nash 2008).
Il contesto globale contemporaneo ha visto il riacuirsi di ideologie che negano la presenza di modelli dominanti su cosa sia e come debba agire una persona, fondati in gran parte sull’adozione di categorie specifiche di genere e nazionalità, e di cui l’antropologia e le scienze sociali hanno dato più volte prova nel corso delle ricerche mostrando anche come generino forme di oppressione, esclusione e sofferenza . Parlare contro tali rappresentazione e in favore di un approccio maggiormente orientato alla co-costruzione e negoziazione di tali categorie fra gli attori sociali è dunque non solo un atto politico, ma anche morale ed epistemologico nella misura in cui appartiene allo stesso tempo al bagaglio concettuale e all’etica professionale della disciplina. Un’antropologia femminista contribuisce a ricordarlo.
- Abu-Lughod, L. (1990) “Can There Be A Feminist Ethnography?”, in Women & Performance: A Journal of Feminist Theory, 5(1), pp. 7-27.
- Arruzza, C., Bhattacharya T., Fraser, N. (2019) Femminismo per il 99%. Un manifesto, GLF Laterza, Bari.
- Behar, R. (1996) The Vulnerable Obsverver. Anthropology that Breaks your Heart, Beacon Press, Boston.
- Brah, A., Phoenix, A. (2004) “Ain’t I A Woman? Revisiting Intersectionality”, in Journal of International Women’s Studies, 5 (3), pp. 75-86.
- Clifford, J., Marcus,. G., a cura di, (1986) Writing Cultures. The Poetics and Politics of Ethnography, University of California Press, Berkley.
- Creenshaw, K. (1991) “Mapping the Margins: Intersectionality, Identity Politics, and Violence against Women of Color”, in Stanford Law Review, 43(6), pp. 1242-1299.
- Gordon, D., Behar, R. (1994) Women Writing Culture, University of California Press, Berkley.
- Mascia-Lees F. E. (2016) “The Body and Embodiment in the History of Feminist Anthropology. An Idiosyncratic Excursion through Binaries”, in Lewin E. § Silverstein L. M. (a cura di), Mapping Feminist Anthropology in the Twenty-first Century, Rutgers University Press, New Brunswick, pp. 146-167
- Nash C. J. (2008) “Re-thinking intersectionality”, in Feminist Review, 89, pp. 1-15.
- Strathern, M., (1987) "An Awkward Relationship: The Case of Feminism and Anthropology," in Journal of Women in Culture and Society, 12, (2), pp. 276-92.