martedì 14 maggio 2019

Pensare la migrazione oggi: spunti dal caso statunitense. Riflessioni dal seminario del Prof. Michael Samers.


Uno sguardo comparativo in grado di utilizzare la geografia come strumento essenziale per pensare in un’ottica più profonda il complesso fenomeno della migrazione. Giovedì 9 maggio 2019, abbiamo avuto il piacere di avere ospite in Bicocca Michael Samers, professore dell’University of Kentucky, che ha tenuto il seminario “Towards a 21st Century Urban Geography of immigration in the U.S.”.

Partendo dal caso di studio del cambiamento delle forme di urbanizzazione e dell’inasprimento dei confini che hanno caratterizzato i territori statunitensi negli ultimi vent’anni, il prof. Samers ha analizzato come questi fenomeni siano in realtà da pensarsi come interconnessi, in un processo dove agency e governamentalità si intrecciano in esiti a lungo termine, che stanno portando ad una vera e propria riconfigurazione della demografia statunitense.

Partendo da una breve analisi della storia migratoria degli Stati Uniti, che ha visto forse nell'Hart-Celler Act del 1965 il momento più rivoluzionario, il prof. Samers si è soffermato sulla situazione venutasi a creare dagli anni 2000 in avanti caratterizzato da un nuovo e crescente numero di rifugiati. Questo fenomeno, verificatosi in contemporanea con dinamiche interne, come la suburbanizzazione delle grandi città e la de-industrializzazione delle città del mid-west, ha portato, da una parte, alla creazione di veri e propri “ethnoburbs” (quartieri etnici) nelle città, come nel caso di Saint Louis che accoglie una comunità di più 70mila persone di origine bosniaca, e dall'altra di vere e proprie nuove comunità rurali costituite principalmente da immigrati in stati come il Nebraska e il Kansas, specializzate nell'industria alimentare.




Migrazione, de-industrailizzazione e dinamiche di resettlement interne alla popolazione statunitense si trovano, così, ad essere fenomeni strettamente interconnessi che prendono nella località forme diverse e originali, dalla ricostruzione di una convivenza pacifica a Clarkstone (Georgia), diventata a “liberal oasis” in a Republican (right-leaning) state”, all'alta competizione per la manodopera altamente qualificata in California.

Dall’analisi di questi casi si evince come il nesso migrazione ed economia (e politica, come i recenti fenomeni politici hanno dimostrato dall’elezione del presidente Trump alla Brexit) si riveli essere molto profondo, soprattutto considerando la dinamica contraddittoria per cui la migrazione costituisce un aspetto essenziale per un sistema neoliberista sempre alla ricerca di una forza lavoro al prezzo più basso, ma anche per il rilancio e il ripensamento di alcune zone. 
Zone che però, oltre a testimoniare la difficoltà di del farsi comunità, testimoniano anche l'internalizzazione dei processi di creazione della frontiera, abilitando“altre frontiere” che gli attori sono continuamente chiamati a ricostruire, ripensare e rimodellare, come nel caso dei controlli di polizia:

“If your car has a broken light, the police will stop you, and if they think you are illegal, they check your papers and then you go straight to immigration police. […] In New York, nowadays, the police don’t have the right to check your papers… you can only be check for the crime you are committing”.

Rendendo più restrittivo il confine, paradossalmente, si crea un ambiente più attraente per gli stessi lavoratori migranti, in cui compagnie “desperate for workers” sono addirittura costrette a ridimensionare il loro business per la scarsa presenza di forza lavoro.
A riguardo, però, un altro fattore sta diventando fondamentale e merita di essere tenuto in maggiore considerazione: lo sviluppo della robotica e dell'intelligenza artificiale.

“If you can’t find workers you can hire robots. Technology (therefore becomes) a new dimension of a very complex story”. 



Oltre ai contenuti, il prof. Samers ha, innanzitutto, fornito delle interessanti indicazioni metodologiche, indicando principalmente sette parametri da considerare per un’analisi completa:

  1. Processi statali (type and degree of visa controls, refugee settlement processes and special privileges, and institutional economic, social, and cultural support).
  2. Come sono arrivati i migranti? A quale tipologia classica di migrazione possono essere ricondotti?
  3. Modalità di entrata nel paese e tipo di visto (ad esempio ricongiungimento familiare piuttosto che sponsored refugees).
  4. Tipologia o gradi di abilità, conoscenze e certificazioni, sia accademiche, scolastiche, ma anche occupazionali.
  5. Fattori locali come la disponibilità di “less-skilled or high skilled jobs”, il costo delle case e la possibilità di avere un mezzo di trasporto pubblico o privato.
  6. Il capitale sociale spendibile da parte degli attori sociali coinvolti.
  7. Le variabili internazionali  (gender, sexuality, age, ethnicity, racialize identities, disabilities).

Queste variabili vanno, però, considerate in una più ampia realtà di governamentalità statale che va ben al di là delle politiche U.S.A,  dove esternalizzazione, escissione, retrazione e internazionalizzazione sono diventate le parole chiave.
Se un'organizzazione come Frontex per l’Unione europea è parte del progetto di portare la frontiera più lontana possibile dal confine geografico statale, alcune zone, come testimonia Lampedusa in Italia, vengono sempre più “escisse" dalla nazione, e considerate, citando Agamben, come “state (and territories) of exception”. Contemporaneamente, inoltre, si assiste alla “Retraction of the right of asylum”, ovvero il togliere di fatto la possibilità alle nazione africane di riconoscere lo status di asilo politico.

In conclusione il prof. Samers ha poi indicato un’avvertenza metodologica fondamentale: nello studio di un fenomeno così complesso la tendenza a voler “naturalizzare” per “semplificare” è sempre dietro l’angolo. Se studiamo le migrazioni da un punto di vista dei trasnational network tenderemo a naturalizzare i network, se partiamo dai confini tenderemo ugualmente a naturalizzare i confini e così via...

La cosa fondamentale, che credo sia uno dei contributi più importanti che possa dare la nostra disciplina, è quello di esserne sempre consapevoli nel prendersi, per dirla con Olivier de Sardan, “l’inevitabile e necessario rischio dell’interpretazione”.

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