lunedì 26 novembre 2018

The Funnel Effect. Riflessioni collettive circa il seminario di Cristiana Giordano

L’incontro con la prof.ssa Cristiana Giordano, associate professor all’University of California (Davis), si è svolto all’interno dell’aula seminari, attorno al tavolo di legno all’ingresso, in una scelta di setting che favorisse la discussione su un lavoro che si presenta come work-in-progress: “The Funnel Effect. On the Traces and the Serendipity of Worlds".


La prof.ssa Giordano ha dunque organizzato l'incontro in tre momenti: una prima parte di breve introduzione sulle motivazioni che l’hanno condotta verso questa ricerca, una discussione tra i partecipanti in cui lei si è dichiaratamente astenuta, prendendo appunti (e dicendosi “felice di poterlo fare, prima che l’articolo venga pubblicato), e una terza parte in cui, sempre in una forma di discussione aperta, l’autrice ha commentato quanto è stato detto.

Uno spunto sicuramente in più è stata la presenza di una operatrice di Emergency, soggetto che ha fatto parte del campo su cui l’articolo di cui abbiamo discusso si basa.
Ma non solo. Assemblaggio diventa anche l’immagine del lavoro dell’antropologo-artista a cui è chiesto di mettere assieme in una installazione sensata le tracce lasciate indietro dalle molteplici traiettorie che decostruiscono il concetto illusorio di “funnel”.

La metafora artistica, qui, non è casuale: gran parte della discussione si è concentrata sull’installazione dell’artista Ramzi Harrabi “Museo dei sogni frantumati”, esposta a Siracusa, una allegoria dei “cocci” che l’antropologa ha trovato “serendipicamente” (secondo l’accezione Fabiettiana) nel suo viaggio esplorativo di campo dalla Sicilia alla Puglia.
Una dimensione che va, probabilmente, oltre quella religiosa o, come l’ha definita il prof. Vietti, alla “monumentalizzazione” e “patrimonializzazione” dell’evento naufragio.
E conclude “Allargando la riflessione sul piano politico, [...] La sovversività del buco, quindi, è sempre contenuta negli interessi della reiterazione delle relazioni di potere esistenti”.
“Il buco è sovversivo fino ad un certo punto e può essere funzionale al mantenimento del potere. Tutti sanno che c’è un buco [...] il sindaco ha detto “lo vado a riaprire” permette di rendere sostenibile l’istituzione. Il buco è utile al dispositivo di sicurezza che tollerandolo, garantisce la sua stessa sopravvivenza”, ha risposto la prof.ssa Giordano.

Come ha sottolineato la mia collega Zaninelli, “Sono stata piacevolmente sorpresa dall’idea di poter contribuire, anche noi dottorandi, con le nostre domande ed osservazioni alla riflessione di un testo etnografico”, e credo personalmente che questo sia stato l’elemento più significativo dell’incontro.

L’introduzione al testo da parte dell’autrice, come segnato nella parte superiore delle pagine con la dicitura “Draft - please do not circulate”, ha sottolineato il carattere ancora in fieri dell’elaborato (dedicato alla memoria del prof. Ugo Fabietti) la cui pubblicazione è prevista per il numero di Aprile di Antropologia. Il progetto di indagine della prof.ssa Giordano si è basato su una domanda teorica accattivante: è possibile, attraverso l’idea di assemblaggio, la trasformazione dell’oggetto sbarco

“Io intendevo lo sbarco come un assemblaggio (/ frantumazione) di pratiche, tecniche e uomini. Voglio prendere una parola (sbarco) con cui si pensa che intendiamo una cosa ben precisa, ma in realtà è molto confuso quello che succede in questi luoghi. Questa parola la si può utilizzare come concetto? Come noi possiamo usarlo come concetto antropologico? La domanda è come un oggetto può diventare concetto”.

L’assemblaggio si definisce così come un insieme di pratiche, opere e saperi che collaborano in certi spazi e tempi e producono degli spazi di vita, che finiscono per smascherare la non omogeneità di un evento, in questo caso “lo sbarco”.

“Museo dei sogni frantumati” by Ramzi Harrabi, Siracusa, photo di C. Giordano.

Intorno a quest’opera la prof.ssa Giordano ha condiviso con noi una domanda a cui sta ancora cercando di trovare risposta: perché questa attenzione alla raccolta delle cose? Qual è la chiave per leggere questa passione per gli oggetti spesso legati al lutto e a situazioni emotivamente dense? Moda? Mercato? Marketing? O, come ha proposto Diodati, dobbiamo cambiare il nostro sguardo dall’ontologia alla morfologia?
Oltre ad una percezione diffusa di saturazione riguardo alle opere d’arte sul tema della migrazione, soprattutto nel Nord Europa e in America, l’artista ripropone qui oggetti che hanno un valore per la loro relazione con umani, un valore che resta e che viene esaltato dall’artista.

“Evento” è una definizione problematica per Giordano. Come evidenzia la definizione di sbarco, come un assemblaggio complesso di tecniche che coinvolgono una molteplicità di attori, riflettendo, al contempo, le modalità di potere sovrano. Lo sbarco è, però, un oggetto/concetto eccedente, che, come ha riassunto bene Turchetti, “va oltre il porto e la grammatica dell’emergenza e della crisi e si configura come un insieme di luoghi, tempi, processi vari ed eterogenei, alcuni dei quali si svolgono all’interno dell’“imbuto” istituzionale, altri si pongono ai suoi margini, negli interstizi, nei coni d’ombra”.

Immagine di questo, allora, diventa il buco nella rete metallica che separa il CARA di Borgo Creto nel foggiano e l’insediamento abusivo delle baracche dei migranti “illegali”.

“Definisco questa realtà come “semi-parallela”, ha fatto notare Rizzo, “perché appunto il buco è lì a testimoniare fisicamente come i due mondi siano in realtà in comunicazione, attraverso numerosi esempi di scambi che esulano da facili compartimentalizzazioni”.

La baraccopoli è diventata una “Milano da bere”, come un “Corso Como”, ha raccontato la volontaria di Emergency. “Nonostante la frontiera militarizzata, c’è sempre questo scavalcare continuamente il confine”. Nel ghetto di Foggia si possono trovare diversi “servizi” paralleli, come un negozietto o la casa di appuntamenti. “Quello che è riconosciuto/che non è riconosciuto alla fine si incrociano continuamente e il loro incrociarsi crea un mondo ibrido strano. Una realtà che non è niente: né Italia, né Africa”. Durante il seminario, ho posto una domanda, che nella sua banalità, però evidenzia la realtà antropologica della situazione: perché il buco non viene chiuso? Il governo delle migrazioni passa attraverso la presa in carico e il lasciare andare: le zone d’ombra… quello che la volontaria davanti a noi nel duplice ruolo di narratrice e intervistata ha definito “lo sfiatatoio dell’ernia”. Ad "assemblaggio" la prof.ssa Giordano accosta il termine “Frantumaglia”, un concetto letterario, elaborato dalla scrittrice Elena Ferrante per descrive il senso di perdita e smarrimento interiore dei migranti sbarcati. I concetti risultano quasi-simmetrici, come ha fatto notare Turchetti:
“Raccogliere e mettere insieme questi frammenti significa dare spazio a ciò (e a chi) non c’è più e a ciò che sfugge alle logiche e agli archivi istituzionali: questo tipo di operazione, mettendo in discussione la linearità e la nitidezza dell’ordine del discorso “ufficiale” ed evocando “qualcosa d’altro”, costruisce un’altra narrazione, sia individuale che collettiva”.
Come ha scritto Occa, inoltre, la nozione di frantumaglia può essere uno strumento concettualmente molto fertile che va ben al di là dello studio della migrazione: I perceive it as a metaphor of the overall ongoing process of atomization of the current worldwide society, where people become single, extrapolated and kept separated by social relations”.

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