venerdì 7 maggio 2021

Gramsci e Basaglia. Antropologia tra totalitarismo e istituzione totale

 

Nell’ambito del ciclo di incontri previsti per la didattica DACS, il 20 gennaio 2021 si è tenuto un seminario, curato dal professor Giovanni Pizza, avente come tema l’apporto alla disciplina antropologica del pensiero di Gramsci, sulla base della recente pubblicazione del professore intitolata L’antropologia di Gramsci. Corpo, natura, mutazione (Pizza, 2020).

Tra le molte riflessioni suscitate dal dialogo, un punto di grande interesse è stato l’analisi del ruolo del corpo in relazione al rapporto tra salute/malattia e benessere/sofferenza. A tal proposito non può non essere messo alla luce il parallelismo tra la figura di Gramsci e quella di un “rivoluzionario” della psichiatria, ovvero Franco Basaglia, in particolare in relazione alle vicende umane e alle affinità biografiche di queste due figure. Ho quindi cercato di ricostruire parte dei pensieri che hanno portato il filosofo sardo e il medico veneziano a divenire due icone di resistenza e rivoluzione. La vicenda umana e politica di Antonio Gramsci è nota ma è comunque bene riprenderne alcuni passaggi cruciali; fu tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia nel 1921 e ne occupò diverse cariche fino a divenire segretario dal 1924 al 1927. L’8 novembre 1926 venne arrestato e tradotto successivamente in carcere dove rimase, per volontà del regime fascista, fino al 1934 quando, ormai gravemente malato, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato. Compromesso nel suo stato di salute, morì ad appena quarantasei anni nel 1937. Rispetto a Gramsci, Franco Basaglia apparteneva ad un’altra generazione, era nato nel 1926 a Venezia da una famiglia benestante che si riconosceva nello stato fascista, tuttavia Franco, di animo ribelle, da liceale aderì al movimento antifascista e durante quegli anni mantenne sempre una posizione apertamente polemica verso il regime (Foot, 2014, 14). La città di Venezia fu occupata dai nazisti dopo l’8 settembre 1943 ma Basaglia e altri componenti dell’ambiente antifascista della città proseguirono con le proprie azioni propagandistiche di dissenso. Fu proprio a seguito di uno di questi episodi (e probabilmente di una soffiata) che Basaglia venne arrestato insieme ad altri giovani oppositori l’11 dicembre 1944 e rinchiuso nel carcere di Venezia (Foot, 2014, 17). Franco Basaglia rimase in prigione fino al 26 aprile 1945 quando, proprio dal carcere di Venezia, partì l’insurrezione che cacciò i nazisti dalla città. L’impatto con la realtà carceraria, il ricordo delle minacce e delle percosse subite, segnarono profondamente Basaglia che in seguito parlò molto raramente di quell’esperienza ma che, secondo molti, fu alla base delle sue idee di opposizione all’istituzione manicomiale. Lui stesso ricorderà:

“Quando sono entrato per la prima volta in un carcere ero studente di Medicina. Lottavo contro il fascismo e sono stato incarcerato. Mi ricordo della situazione allucinante che mi sono trovato a vivere. […] C’era un odore terribile, un odore di morte. […] Tredici anni dopo la laurea sono diventato direttore di un manicomio e quando vi sono entrato per la prima volta ho avuto quella stessa sensazione. Non c’era l’odore di merda, ma c’era come un odore simbolico di merda. Ho avuto la certezza che quella era un’istituzione completamente assurda, che serviva solo allo psichiatra che ci lavorava per avere lo stipendio a fine mese. A questa logica assurda, infame del manicomio noi abbiamo detto no” (Basaglia, 2000, 49).



E’ evidente come da queste ultime righe traspaiano le riflessioni che guidarono il movimento critico che portò alla profonda riforma della psichiatria italiana in senso democratico con la chiusura dei manicomi. Basaglia rifletteva sulla dimensione corporea del rapporto fra il medico e il suo paziente, sottolineando come tale incontro, sebbene richieda la presenza indispensabile di due corpi, sia rappresentato esclusivamente nel corpo oggettivato del malato (Pizza, 2005, 49)

“Non si tratta, dunque, di un incontro reale, dove un soggetto oggettivizza l’altro nel momento stesso in cui viene da lui oggettivato; ma di un incontro fra un soggetto ed un corpo cui non viene data altra alternativa oltre a quella di essere oggetto agli occhi di chi lo esamina” (Basaglia, 1981, 429).

D’altra parte lo stesso Gramsci, nei suoi Quaderni, aveva intuito come i medici costituissero una particolare categoria di intellettuali:

“…la più importante forse, dopo quella ecclesiastica [è] la categoria dei medici in senso largo, cioè di tutti quelli che lottano o appaiono lottare contro la morte e le malattie” (Gramsci, 1975, 846).

Al contempo rifletteva però sulla delicatezza di tale posizionamento, in modo particolare rispetto alle istituzioni.

“La biomedicina, lo Stato, la Chiesa, come la scuola, l’ospedale, la famiglia, il carcere, una cerimonia rituale o una partita di calcio, sono istituzioni, cioè dispositivi organizzati e formalizzati, raggruppamenti sociali legittimati che hanno l’obiettivo di regolare i comportamenti e le relazioni sociali” (Pizza, 2005, 146).

In tal senso le istituzioni agiscono attraverso una permanente attività culturale che stabilisce norme e sanzioni, regole morali e comportamentali, che definisce il confine fra vita e morte, fra razionalità e irrazionalità, fra il maschile e il femminile, che ordina e classifica la realtà naturale e sociale e costruisce le stesse idee di persona, soggettività, intimità e sé (Gramsci, 1975, 1872). E’ quando queste istituzioni divengono “totali” che si produce il cortocircuito che nega le idee proprie e fondanti dell’essere umano. Il fascismo aveva usato il sistema manicomiale per reprimere il dissenso politico e mettere a tacere chi creava problemi (come la prima moglie di Mussolini e suo figlio, e molti ribelli e radicali, oltre ai fascisti dissidenti) (Foot, 2014, 77). L’idea che l’internato in manicomio venisse spogliato della propria umanità e di ogni diritto compare negli scritti di molti tra i maggiori critici e rivoluzionari nell’ambito metodologico della psichiatria. Scriveva Laing:

“Dopo aver subìto la cerimonia di degradazione nota con il nome di visita psichiatrica, [il paziente] viene privato dei suoi diritti civili e imprigionato in un’istituzione totale detta ‘ ospedale psichiatrico’. In modo più completo e radicale che in qualsiasi altro luogo in questa società, egli viene annullato in quanto essere umano” (Laing, 1964, 64).

Analogamente, negli anni Sessanta, caratterizzati dalla contestazione sociale, non era raro imbattersi in slogan o immagini che richiamavano l’analogia tra i campi di concentramento nazisti e i manicomi per “malati di mente” creati dalla società capitalistica. Pur non cavalcando l’onda del forte impatto dato dall’affinità tra queste due situazioni, per timore di eccesso retorico, fu lo stesso Basaglia a riproporre l’analogia, attraverso le parole di una paziente del manicomio di Gorizia, in quello che fu uno dei testi guida del Sessantotto italiano, L’istituzione negata:

Ed ecco l’intervista con Carla, una delle degenti più note e più ascoltate nell’ospedale.

Intervistatore: Lei ha avuto una vita molto complicata e difficile… è stata anche in campo di concentramento…

Carla: […] nel lager dove ero io era anche la povera principessa Mafalda.

Intervistatore: Senta, che campo di concentramento era?

Carla: Auschwitz.

(Basaglia a cura di, 1968, 24).


Anche sul piano storico c’erano parecchi elementi che parevano collegare i campi di concentramento (nazisti) con ciò che erano diventati i manicomi. Si coglievano certe continuità, negli esperimenti condotti sui pazienti, nella loro deumanizzazione (arrivando addirittura all’asportazione di una parte del cervello con la lobotomizzazione), nella rigidità delle gerarchie e della condotta imposta da entrambe le istituzioni. I nazisti occuparono i manicomi per sterminare sistematicamente i pazienti, spesso in camere a gas appositamente costruite negli ospedali. Queste pratiche, ovviamente, non rientravano strettamente nella logica dei manicomi, legata più che altro all’idea di “proteggere la società dai matti”, senza tuttavia riproporsi di sterminarli. In questo senso va letto il rifiuto di associazione di idee Lager/manicomio espresso da Primo Levi a seguito degli elogi profusi da Franco Basaglia nei confronti del libro Se questo è un uomo, testo tanto caro e fonte di ispirazione per lo psichiatra e il suo operato.

“Ho provato un certo disagio quando Basaglia mi ha mandato il suo libro (L’istituzione negata) in cui citava Se questo è un uomo e in cui diceva che gli ospedali psichiatrici sono dei Lager. Non credo che si possa arrivare a questo punto, se non in via di metafora, di allusione. Perché lo scopo degli ospedali psichiatrici era forse quello di difenderci dai malati mentali, non quello di ucciderli. Se poi morivano era un triste sottoprodotto, ma non era desiderato. Saranno brutte macchine, ma fatte per un altro scopo”. Primo Levi (cit. in Foot, 2014, 80).

A prescindere dagli attestati di stima e delle critiche attratte dal movimento antipsichiatrico, è innegabile la portata dell’impegno di Franco Basaglia per la chiusura del manicomio come istituzione totale. La legge 180 del 1978 (che sancì la chiusura dei manicomi per come erano stati concepiti fino ad allora), è una delle rarissime leggi che viene ricordata più con un nome che con un numero e che però, oltre alle difficoltà d’applicazione, ai ritardi e alle modifiche subite, resta chiaro nelle parole di Basaglia, quanto fosse ancora fragile nei cambiamenti apportati dai diritti conquistati:

“Noi psichiatri democratici, pur avendo stimolato la nuova legge, siamo una minoranza, ma, come direbbe Gramsci, siamo una minoranza egemonica […] naturalmente dobbiamo essere molto vigili perché questa minoranza, una volta catturata, può diventare la nuova maggioranza riciclata”. Franco Basaglia (cit. in Foot, 2014, 290).


BIBLIOGRAFIA

Basaglia, F. (1981), Scritti. I, 1953-1958. Dalla psichiatria fenomenologica all’esperienza di Gorizia, Einaudi, Torino.

Basaglia, F. (2000), Conferenze brasiliane, a cura di Ongaro, F., Giannichedda, M., G., Raffaello Cortina, Milano.

Basaglia, F. (a cura di), (1968), L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino.

Foot, J. (2014), La “Repubblica dei Matti”. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978, Feltrinelli, Milano.

Gramsci, A. (1975), Quaderni del carcere, a cura di Gerratana, V., Einaudi, Torino.

Laing, R. (1964), What is Schizophrenia, in “New Left Review”, I, 28, Nov.-Dic. 1964

Pizza, G. (2005), Antropologia medica. Saperi, pratiche e politiche del corpo, Carocci, Roma.

Pizza, G. (2020), L’Antropologia di Gramsci. Corpo, natura e mutazione, Carocci, Roma.

 

1 commento:

  1. Gran bell'articolo! Mi è stato molto utile come ispirazione per la tesi che sto scrivendo su Basaglia.

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